Una vampata d’estate ci sta travolgendo – il mezzogiorno è più che mai di fuoco – io però sto in un paesetto ormai semidisabitato (ma delizioso), che sorge su un cocuzzolo di roccia a quattrocento metri e che gode dei venti da ogni dove e di sera, sempre, bisogna mettersi il golfino.
Lì ieri è venuta un’amica – qualcosa di più: una con cui abbiamo diviso anni di marketing e di buon senso, rallegrando i fatturati di clienti d’agenzia e poi di una spettabile casa editrice – come si suole dire – leader del mercato. Insieme abbiamo incontrato Giuliano che ci parlava di ‘buon senso’; lui essendo uno che governa le colture di una grande azienda che si sta riconvertendo al biologico è stato coinvolto in una serie di osservazioni e domande che in campagna si fanno solo di domenica mattina, perché altrimenti non c’è tempo. “Ma in pratica, riconversione, che cosa comporta” gli chiedevo, e non lo facevo a vanvera, perché la frontiera del biologico viene occupata da molte ‘new entries’ – alcuni sono agricoltori convinti, altri mi paiono molto mosci e un po’ opportunisti – e non bisogna scivolare nel ‘biologico di maniera’, cioè nell’applicazione (o peggio nella declamazione) di regole e di nuove consapevolezza che le supportano, applicate solo perché c’è la sensazione diffusa di gradimento da parte dei consumatori.
Anche se – io penso – questa attenzione, magari forzata, verso le modalità biologiche (o addirittura bio-dinamiche) porterà inevitabilmente alla diffusione di un nuovo pensiero, più consono ai tempi nuovi. Certo che – per esempio – se Montalcino fosse tutta ‘bio’ – e lo sussurravo in un incontro al direttore del consorzio di qui – avrebbe un validissimo strumento in più per impressionare i mercati; e sarebbe davvero un caso originale, un esempio per gli altri, dopo tante chiacchiere…
Il Giuliano in questione non fa parte del club virtuale che aggrega molte pasionarie del bio, scienziati, produttori con gli occhi attenti, sperimentatori e persino monaci buddisti (che tra parentesi e buddismo a parte dimostrano grandissima competenza agricola), lui è un fattore ‘old style, ma colto e sensibile e con l’occhio lungo. Lui ha tagliato corto (in realtà non ha risposto alla domanda) e paro paro mi dice – piantandomi gli occhi in faccia – “prima degli anni della chimica ad oltranza, c’era il buon senso; c’erano le stagioni e c’era la luna: ora fare biologico vuole dire soprattutto tornare a un’agricoltura del buon senso”.
Dire che fossi totalmente soddisfatta non è esatto (mi sembrava di sentire il brontolio della compagine di produttori biodinamici, che si slancerebbero in una discussione a oltranza)… ma è già qualcosa di molto onesto!
Sto provando qualche punto di partenza…l’attacco con il bio mi sembra giusto; penso che presto molti attraccheranno al bio, e la cosa peggiore che può succedere e che lo facciano solo per opportunismo (che commercialmente si dice ‘opportunità’), mentre bisognerebbe lavorare a questa scelta, in termini di comunicazione…