Metti una sera all’ora di cena, nel paese ghiacciato da uno strato di neve che permane nei vicoli e sui tetti; gli abitanti superstiti e i migranti arrivati rintanati nelle case a guardare in tv il racconto di ciò che resta della politica. Manca la notizia più triste che arriverà la mattina dopo, ma è San Valentino, e anche se si perde nella notte (dei tempi) l’ultima cena romantica, t’affacci all’uscio di un sito accogliente dove potrai con calma ricordarti che centosei anni fa, lo stesso giorno è nata tua madre, in una campagna lontano da qui, da donna borghese e poliglotta (governava anche i giovani soldati che occupavano il mas nel suo tedesco familiare e affettuoso). Entri insieme allo stormo dei ricordi variegati che ti porti dietro e trovi l’oste accogliente che ti ha aperto la porta (grazie Gianfranco!) e quattro tenere coppie che – nonostante Monti, le tasse, le banche, le ferrovie e la benzina – hanno deciso di celebrare i loro sentimenti.
Gianfranco ammicca e ti mette di fronte al fatto compiuto. Mentre versa nel mio bicchiere posso sentire la voce rauca e la tromba di Chet Baker parlarmi ancora una volta d’amore.
E la notizia triste, per me molto triste è arrivata quando i kaki della Costaccia si erano appena liberati dalla neve.
…toh, a San Valentino in compagnia di Gianfranco, that’s very funny indeed…
not the Gianfranco you mean …
…ah, sapevo lo avresti detto, Madame de Lapalisse…
… è la verità! Gianfranco, in questo caso è l’oste – gentile – de “Il Leccio”.