Storia di un vecchio muro.

Guardavo questo muro e vi ho visto – con gli occhi della mia immaginazione – quello che sospinge così tante persone a interessarsi della terra, delle cose di campagna, talvolta a innamorarsi di una vecchia casa rurale, di un contesto che va sparendo, insieme alle superfici coltivabili. .

Qualcuno potrebbe suggerirmi che non sta sparendo niente, che tutto invece si modifica, ma io resto della mia idea, che è un’idea di estetica che sconfina nell’economia.

Avete mai provato a domandarvi perché uno dovrebbe acquistare una casa molto vecchia, spesso malandata, senz’acqua, con un tetto fatto di vecchissimi coppi (massì, diciamoli pure antichi!), in un luogo fuori mano? Invece di costruirsene una nuova nuova, con tutte le cose che servono al loro posto, e spendendo infinitamente meno: insomma una villa, anziché una casa da contadini.

La risposta è nelle storie che i muri vecchi ci raccontano. La passione per i vecchi casali sparsi nelle campagne italiane – in particolare nella Toscana (v. La casa rurale nella Toscana, Renato Biasutti, ancora reperibile in alcune librerie specializzate) – è legata a una diffusa nostalgia per una vita (a cui molti tornano a guardare con interesse e speranza) più ‘umana’.

In un podere, ogni aggiunta, ogni modifica, ogni apertura nuova, ogni finestra murata, ogni tettoia (‘parata’) ha un suo perché, legato alla vita e al lavoro quotidiano, agli animali allevati e al tipo di colture che vi facevano capo. Le vecchie case di campagna portano, stratificati e leggibili, i segni e le testimonianze delle vite passate e ci permettono di leggerne la storia. I materiali usati, il lavoro degli uomini, il tempo che passa, sono i tre ingredienti che danno un carattere a questo pezzo di muro, rendendolo unico e inconfondibile; di questo si va alla ricerca, in tempi di post-globalizzazione!

 

 

4 pensieri su “Storia di un vecchio muro.

  1. Corona No-Tav: combatterò per la val Susa, nuovo Vajont

    Noi non viviamo in democrazia, viviamo in democratura: è un misto tra democrazia e dittatura. Per questo io sto con gli abitanti della val di Susa: non perché mi schiero con un colore politico o con l’altro, ma perché la ragione ce l’hanno loro che vivono quei luoghi, che sono da secoli in quella terra, che la amano, hanno sofferto, l’hanno costruita con il sangue e il sudore. Lì ci abita il cuore, non ci abita gente normale, non ci abitano corpi. E’ inaccettabile che qualcuno si arroghi il diritto di andare lì, come hanno fatto con il Vajont, e spazzare via la gente, spazzare via i boschi, secoli di cultura, tradizioni, storie. Motivazioni tecniche? Ogni omicidio ha bisogno di un movente. E chi va in val di Susa e vuole stuprarla non si rende conto di fare un danno al cuore di quella gente, non al portafogli. Per questo non riusciranno a comprare gli abitanti della valle.

    Non capisco perché fare una linea nuova, visto che ce n’è gia una che arriva in Francia e che è sottoutilizzata. E poi perché alta velocità? Ci siamo ormai Mauro Coronasuperati, l’uomo è passato avanti a se stesso. Il Tav è una vergogna e fanno bene a combattere quelli della val di Susa, e che non mi si venga a dire che sono violenti. La montagna è di chi la vive, loro soltanto possono decidere cosa fare. Ma lo mettono in conto, questi politici, che quello è un luogo del cuore? Qui avevamo il Vajont: faceva girare mulini e segherie, era la nostra “miniera d’oro”. Sono venuti i politicanti dell’epoca, hanno messo un foglio di cemento sulla valle, hanno mandato via le persone e hanno causato duemila morti. Per questo io sto con la val di Susa e andrò lì a combattere.

    Anche qui da noi è così: ci stanno rubando la ghiaia, e anche l’acqua: la vendono a peso d’oro, e questi paesi ormai sono diventati un luogo abitato più dai Tir che dalle persone. Abbiamo costruito una società il cui unico obiettivo è fare denaro, a qualsiasi prezzo, anche al costo della vita stessa degli uomini e le donne. Oggi dicono che abbiamo bisogno dell’alta velocità, in quell’occasione dissero che avevamo bisogno di energia. Pochi uomini fecero immensi profitti con la diga del Vajont ed ignorarono, così come fanno ora, i gridi d’allarme dei vecchi del posto, che conoscevano la montagne e sapevano, ad esempio, che vi erano frequenti frane. Ignorarono quei gridi d’allarme anche quando la giornalista Tina Merlin, a pochi giorni dal disastro, scrisse su “L’Unità” che migliaia di persone erano in pericolo di No-Tav in una nube di lacrimogenivita, e che andavano evacuate. Come faccio io a fidarmi degli uomini, se sono stati in grado di spazzare via paesi, uomini, tradizioni con un’ondata d’acqua e fango?

    E anche in val di Susa vogliono distruggere una civiltà. Il governo ignora le osservazioni di centinaia di studiosi, che hanno spiegato i rischi per la vita dei cittadini. E poi che bisogno c’è dell’alta velocità? Dobbiamo tornare all’essenziale. Vivere è come scolpire: bisogna imparare a togliere, per vedere l’opera nel suo splendore. Cos’è la montagna? Nient’altro che un luogo dove abitano persone, come il deserto, il mare, le pianure. La montagna è solo un luogo più ripido. E chi ci vive la ama perché si sente abbracciato da quelle rocce, da quei torrenti, dai boschi. Ma la montagna è soprattutto la memoria di chi è stato lì per secoli, di chi ha vissuto lì l’infanzia, è cresciuto, ha parlato coi vecchi. Ma è lo stesso nelle pianure o al mare: ogni luogo è montagna, dipende solo dalle pendenze. Quelli che vi abitano sono i padroni assoluti.

    La mia idea di progresso? Tornare all’agricoltura, al lavoro manuale. Ma vi rendete conto che abbiamo ceduto la Terra alle macchine? E come è stata causata la crisi economica? Abbiamo puntato tutto sullo svilupo tecnologico. Io ho scritto un libro, letto da pochissime persone, si intitola “Ritorno alla campagna”. Se vogliamo salvarci non dobbiamo pensare all’alta velocità: dobbiamo tornare a essere capaci di procurarci il cibo, senza violentare la terra, senza mettera in cima ai nostri propositi il profitto. Non sappiamo più usare le mani, abbiamo desideri inutili: il Suv, il Un’autoblindo Puma nel sito di Chiomonte destinato al futuro cantiere Tavnavigatore satellitare… Ma me lo spiegano, questi “tifosi della crescita economica”, cosa serve per vivere, per stare in piedi?

    Vedo questo nichilismo imperante, il cinismo dell’economia: cambiano i luoghi, le persone, qui fecero una diga, lì l’alta velocità, ma è il nichilismo che impera su tutto. E’ l’uomo che non ha più progetti per il futuro, non c’è più una missione. Pensiamo a ingozzarci più che possiamo per quei pochi giorni che ci è concesso di vivere. Costruiamo grattacieli, tunnel di alta velocità e ci facciamo guerre meschine perché non sappiamo accontentarci. Dovremmo insegnare ai bambini che il denaro è una porcheria, che ne basta solo un minimo per vivere. Per questo i No Tav fanno bene a combattere in val di Susa, perché è contro questo nichilismo che combattono.

    E io andrò in val di Susa, e voglio essere preso a manganellate come loro, perché non è possibile che si dica solo “hanno ragione”: bisogna metterci il corpo ed è quello che farò. C’è una valle, uomini e donne che vogliono viverci, allevare lì i loro figli. La valle abbraccia la sua gente, non può venire un politicante a spezzare questo abbraccio con le ruspe, per la sua eiaculazione nello spostare velocemente delle merci. La vera necessità sta nelle piccole valli, dove ci si può chiamare da una costa all’altra. E’ questo il vero senso dei No Tav, è per questo che si battono. E vinceranno, mi creda.

    (Mauro Corona, dichiarazioni rilasciate a Davide Falcioni per l’intervista apparsa su “Agoravox” il 9 marzo 2012).

  2. Mamma mia che noia i copia incolla. Se proprio uno non ne puó fate a meno, dato che siamo in rete basta un link.
    Quanto alla nostra campagna, c’é tutto ciò che tu scrivi ma anche molto, molto di più. Nella terra senese ogni campo ha un nome, e spesso anche gli alberi. C’é la querce pendolina e il campo ai peri. Ci sono le pecinaie con le conchiglie fossili. C’é la strada infossata di Salimbene con il ceciarello da mangiare in stagione, e la fonte lattaia. Già, perché anche tutte le fonti hanno un nome, e spesso un’acqua con doti particolari. Anche magiche. C’é la cava della terra vetriola, con cui si pulisce il bruciato dalle pentole. E ogni campo ha un suolo che va in tempra in un momento diverso, e va lavorato in un modo ed un tempo diverso. É un mondo che, a differenza dei muri così belli che tu hai potuto amare senza interpreti, non può far a meno dell’aiuto di chi ci ha vissuto per essere conosciuto. La mia generazione è l’ultima ad aver goduto di questa ricchezza, anche se troppo spesso l’ha scambiata per miseria. E non la trasmetterà. Vedi, in fondo questo è il vissuto che ho in comune con Cencioni, Zannoni o Lambardi, e non avrò mai con tanti altri venuti da altrove. Chi conosce questa ricchezza difficilmente potrà permettere certi scempi, perché sa cosa perderebbe. Ma i nuovi, anche nostri?

    • I “nuovi”, se non sono scemi integrali – e ci sarebbero ottime ragioni per non esserlo e anche per non divenirlo – capiscono che quelle che hai cominciato a enumerare sono perle preziose, non solo in quanto divengono rarità che possono tradursi nel famigerato e frainteso ‘valore aggiunto’, ma anche come capitale sentimentale, cioè di sentimenti. Qualcosa che ti aiuta ad affrontare la vita anche se in apparenza non haii altro.
      Questo, prima di tutto dovrebbero – devono – capire ‘i nostri’, ma anche quelli che hanno la fortuna di riconoscere i luoghi nelle loro potenzialità.

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