Che cosa ci stanno rubando

Confesso avrei voluto un titolo più glamour per quel bendiddio che mi è capitato in questa mia ancora vacillante mattina di maggio. Ma l’idea che questo bendiddio ce lo stiano rubando – i soliti trecento o un milione, o più di incapaci, o malversatori, o collusi, o corrotti, o ladri più o meno matricolati e ufficializzati – mi fa proprio inferocire.
Ciò fa di me, secondo alcuni, una pericolosa comunista o una (ahimé decrepita) terrorista, seppure in pectore e – sia ben chiaro!!! – senza armi, né bianche né da fuoco.
Ché, per quel che mi riguarda, il fuoco è nel forno (rigorosamente a legna), e i coltelli servono ad affettare il pane che nel suddetto forno viene meravigliosamente.
Tuttavia, il bendiddio ce lo sottraggono quotidianamente, e molti dei derubati non ne sono nemmeno abbastanza consapevoli.

Stamattina sono passata al podere, per conoscere e salutare due artigiani modicani che sono venuti a visitare un pezzo d’Italia che non conoscevano, rimanendone (sono parole loro) sbalorditi. Eppure questi signori non arrivavano da una terra qualsiasi, bensì da uno dei luoghi del barocco più reputati (e ammirati e conosciuti) e da un paesaggio affascinante. Essi hanno portato qualcosa che desse un’idea – che fosse una testimonianza – della loro terra. Cose prodotte dalle loro mani e frutto della loro esperienza e di tradizioni ancora non tradite.

Così mi è capitato di assaggiare gli ‘mpanatigghi modicani, che vi presento in una di queste immagini e che però non si sono limitati a lasciarsi gustare, ma mentre li masticavo e li facevo miei, mi hanno suonato trombe garibaldine, campane siciliane e raccontato storie…

“Ahh vecchia pazza!, ti conosciamo bene, te e le tue manfrine…!”, mi pare di sentire qua e là qualche commento. E certo io sono un po’ folle a ‘sentire’ racconti e ascoltare echi di canzoni e clangori di storie che pochi hanno voglia di udire, ma se vi dico che si tratta della stessa canzone che affascina milioni di persone – più colte di noi, che ci dimentichiamo di noi stessi e della nostra storia, per un piatto di lenticchie nemmeno biologiche o almeno nostrane -, persone che hanno letto, che hanno visto e ascoltato e che avranno voglia di ascoltare la storia di chi siamo, magari in un sorso di Brunello o in un morso a un ‘mpanatigghio, mi dovete credere. Persone che magari vengono da lontano…

Ecco, è questo racconto, questo intreccio di paesi e uomini, questi impasti e vendemmie e ciò che essi sono capaci di raccontare di noi, è ciò che ci viene piano piano sottratto; che viene usurpato o anche solo sciupato, a causa della nostra scarsa o nulla consapevolezza. Non sappiamo di essere (ancora) ricchi e non ci accorgiamo del desiderio che il nostro patrimonio suscita negli “altri”. E chi dovrebbe ricordarcelo è assente ingiustificato, mi pare…

Mi guardo intorno e vedo i piatti di ceramica della Vedova Besio (Mondovì); Una zuppiera delle ceramiche Cantagallo; una Moka (e scusate se è poco!); un buffet intagliato da un artigiano lombardo, i piatti di Vietri; vecchi pezzi di Richard e di Ginori; un Lisa Corti prima maniera…e una scatola di doni siciliani, prodotti dalle mani di Donna Elvira, a Modica, in Sicilia: ‘mpanatigghi, Savoia, Filetti. Siamo in un vecchissimo podere, a Montalcino, in Toscana, in Italia.

Scusate se è poco e vediamo di svegliarci (prima che ci rubino tutto).

 

16 pensieri su “Che cosa ci stanno rubando

  1. Ci è stata rubata oltre la speranza il limite della soglia entro il quale una persona si deve incazzare per quello sta accadendo.
    Per la malversazione fatta arte, per il furto pubblico fatto come gesto d’amore, per quel nostro caro, ricco fenomenale paesaggio che viene riciclato con i mattoni per finto vero toscano.
    Il mondo è sempre più ristretto, rifugiarsi in un podere antico o in un piccolo castello è lasciare il mondo appena fuori che ci stringe sotto assedio.
    Sbaglierò, ma qui vince la pollina a tutti i livelli.

  2. …mi scuso per non riuscire a rispondere se non con la cruda prosa di Grillo.

    “Ci vogliono nuove parole. Parole importanti. Solidarietà, partecipazione sociale, senso di comunità, di identità nazionale. Nessuno deve essere lasciato indietro. L’imprenditore che si suicida, di solito per non dover affrontare l’incapacità di mantenere la famiglia (come fai a dirlo a tua moglie?), è una maledizione che né lui, né noi ci meritiamo. La corte dei miracoli, di mendicanti, che si affolla nelle nostre città è sempre più formata da italiani. Persino gli extracomunitari stanno lasciando l’Italia, uno su quattro è rientrato nel suo Paese o ha cercato fortuna altrove.
    Abbiamo perso una guerra per la democrazia. Molti l’hanno combattuta per noi nel dopoguerra e sono stati ammazzati per questo. L’elenco è interminabile, da Impastato a Ambrosoli, da Puglisi a Borsellino a Vassallo. La guerra civile non è finita nel 1946, è continuata fino ad oggi, ha prodotto migliaia di morti, decine di stragi, l’occupazione del potere da parte della P2, la fine della sovranità dello Stato nelle regioni dove regna la criminalità organizzata. E ora il fallimento economico dell’Italia. Dobbiamo creare una rete di protezione sociale per affrontare la tempesta perfetta che ci aspetta. Non è tollerabile che un cittadino muoia di povertà, di debiti, di solitudine. O ce la facciamo tutti insieme o il Paese si disgregherà in mille egoismi. Una nuova dittatura è possibile.
    Il cittadino deve sentirsi protetto dallo Stato (e non lo è), uguale di fronte alla legge (e non lo è, dipende dal reddito e dallo studio legale che può permettersi), rispettato come contribuente (non preso per il culo da una serie infinita di condoni e dallo Scudo Fiscale). I cittadini devono potersi riconoscere nello Stato. Deve essere il nostro specchio. Noi siamo lo Stato. Il tempo dei pannicelli caldi, delle dichiarazioni ad effetto, delle mascherate televisive è giunto al termine. La verità, che nessuno vuole dire, e molti neppure sentirsi dire, è che la Grecia andrà presto in default e da quel momento in poi tutto è possibile. Nel frattempo i nostri politici si trastullano senza fare un taglio che sia uno e accollando ai cittadini i costi inutili della guerra in Afghanistan, dei cacciabombardieri, dei partiti, dei giornali, della Tav da 22 miliardi di euro. Dio rende folli coloro che vuole perdere.”

  3. Non a caso oggi danno Grillo al 13 e rotti per cento…
    Mentre lo smacchiatore di leopardi e i suoi fidi giornalisti, prima insinuano che sia addirittura gradito alla destra (come se “la destra” fosse un covo di mafiosi antidemocratici eccetera: non che non lo sia ma è perfettamente controbilanciata a “sinistra”); poi lo tacciano di fomentare il “terrorismo”.
    Come se non fosse vera violenza quella perpetrata dalla banda di cosiddetti politici ex- straccioni (e cosiddetti manager di stato nei loro dintorni) che si sono rimpannucciati a nostre spese – anche tramite la pochissimo trasparente prassi di Equitalia -, con finanziamento pubblico dei partiti, indennità ipertrofiche e prebende circostanti, nonché ruberie varie.
    Ciò chiarito, desidero ancora una volta sottolineare che se costroro – o almeno alcuni di loro – avessero idea della grandezza e della grandiosità potenziali (e anche effettive) di questo paese, e si dessero o si fossero dati da fare per sostenere, promuovere, sottolineare, valorizzare tutto ciò, avrebbero almeno reso un servizio al paese e ai contribuenti che li hanno sino ad oggi grandiosamente mantenuti.
    Invece niente: anzi, meno di niente, perché ci hanno anche rappresentati indegnamente.

  4. …l’idea che dici tu, cara Silvana, ce l’ha ben precisa Sting:

    La natura di Sting: “Ascoltate la musica della campagna”
    Così il cantante è stato sedotto dall’Italia: “Amo il paesaggio toscano e l’estetica della vostra terra. Vivere nel verde ti insegna a pensare”

    di GIUSEPPE VIDETTI

    L’ARIA E’ CALDA, tempo di infradito e abiti leggeri. Sting, barba lunga e capelli in disordine, ha lasciato in camerino il guardaroba che usa per il tour, tutto Balmain e Ann Demeulemeester, e indossa una t-shirt su un pantalone in jersey con coulisse di James Perse. Al Palagio – la villa con 300 ettari di bosco e terreno agricolo a Figline Valdarno che ha acquistato nel 1997 per sette miliardi di vecchie lire da Simone Velluti Zati, duca di San Clemente – l’artista conduce una vita parallela. È il suo buen retiro, il luogo dove ha scritto alcune delle pagine più belle della carriera post-Police. Qui si è ritirato con il liutista Edin Karamazov per incidere l’album Songs from the Labyrinth, antiche canzoni del compositore John Dowland; qui, in un rigido e nevoso dicembre, ha visto la luce If on a winter’s night, il disco natalizio del 2009; qui, l’11 settembre del 2001, tenne un concerto per amici e pochi fan subito dopo aver appreso dell’attacco alle torri.

    “La mia love story con l’Italia è iniziata molto prima del Palagio”, racconta Sting, che ha compiuto 60 anni lo scorso ottobre. “Già nel 1990 avevamo una casa nella frazione di Migliarino, in provincia di Pisa, dove è nata mia figlia Coco. Fui sedotto dal cibo, dalle donne, dal paesaggio, da Puccini (ecco perché ha chiamato Giacomo il più giovane dei suoi figli) e Corelli. Mi piace l’estetica italiana, l’opposto esatto di quella inglese”. Sting ha case sparse in tutto il mondo, compreso un castello elisabettiano a Salisbury, nel Wiltshire, un cottage nel Lake District, a nord dell’Inghilterra, un appartamento a New York, una villa sulla spiaggia di Malibu, due appartamenti a Londra e diverse proprietà nei Caraibi; è uno dei dieci uomini più ricchi dell’industria musicale britannica con un capitale di oltre 200 milioni di euro. Il ruolo del castellano gli si addice quanto quello del contadino.

    “Per la verità ero più bravo a fare il lattaio a Newcastle”, scherza. “Cerco di seguire il lavoro nei campi e di imparare, ma non è facile. Ho trascorso molto tempo al Palagio negli ultimi dieci anni con mia moglie e i nostri quattro figli, più che in qualsiasi altra delle mie residenze. È un posto che fa bene all’artista. Ci sono voluti vent’anni per trovarlo. Ci ha sedotto per la sua semplicità, una villa con piccole stanze, dove ci siamo sentiti subito a casa. Gli unici lussi che ci siamo concessi sono una piscina, una foresteria e uno studio di registrazione, per il resto abbiamo lasciato tutto com’era”. Tornerà a suonare in Italia a luglio; quattro le date del Back to Bass Tour: il 10 a Padova, il 12 a Molfetta, il 13 a Taormina e il 15 a Perugia. Poi ancora qualche concerto in Europa e ad agosto sarà al Palagio per tutto il mese. “Mi godo il silenzio”, dice scrutando la vallata. “Porto a spasso i cani – io ne ho uno, mia moglie Trudie dieci – coltivo ortaggi, cammino nel bosco per ore, a volte non rientro neanche per pranzo. Mi piace osservare la routine stagionale dei contadini. Io non so fare molto, ma mi piace raccogliere le olive. Lo considero molto terapeutico, richiede pazienza, costanza; è la cosa più utile alla mente che abbia imparato dopo la meditazione. Ho provato a vendemmiare, troppo faticoso, ci vogliono mani robuste, ho più di sessant’anni ormai…”.

    Se non fosse rivelata in mille biografie, l’età di Sting sarebbe indefinibile. È magro e agile, tonico ma non esageratamente palestrato. Merito della disciplina, dello yoga, forse anche del sesso tantrico di cui ha esaltato le proprietà terapeutiche, ma soprattutto dell’alimentazione sana. Da Trudie e Sting si mangia sano e si mangia bene. Joe Sponzo, il cuoco del Connecticut che da quasi vent’anni è lo chef personale dei Sumner, il cognome di Sting, usa solo ingredienti provenienti da agricolture biologiche per preparare i piatti ispirati alla cucina regionale. In tavola salumi di cinta senese, formaggi dop, miele d’acacia, verdura dell’orto, vini – che portano il nome di celebri canzoni dell’ex Police: il Sister Moon (“prodotto seguendo i principi biodinamici”) o When We Dance (“un Chianti suadente”) – e olio fatto in casa; poca carne e niente dolci, a meno che non ci siano ospiti. I vicini parlano un gran bene dell’agricoltura biologica che la celebre coppia ha messo in moto (sulle bottiglie d’olio extravergine è bene in vista il marchio Sumner). “Abbiamo cominciato a vendere olio e vino, prima in Inghilterra, ora anche in America. Da quasi due anni tutti prodotti sono disponibili anche in un punto vendita interno”, conferma Sting.
    Per celebrare l’attività solistica che ormai lo impegna da un quarto di secolo, Sting ha pubblicato il cofanetto antologico 25 Years: The Definitive Box Set Collection che contiene anche un app per iPad la cui realizzazione è costata un milione di dollari.

    “Credo di aver fatto un buon lavoro”, riflette. “In attesa che la nuvola del digitale si dilegui e la musica torni in primo piano, mi è sembrata una buona idea indugiare sui classici. I Police mi hanno dato la celebrità, il privilegio che mi consente di fare quel che più mi piace. Ora, dopo il tour con l’orchestra sinfonica, sono tornato a suonare il basso con un piccolo gruppo, e nel frattempo sto reclutando il cast per una pièce teatrale a sfondo autobiografico. Spero che almeno la colonna sonora sia pronta per Natale. Sto facendo la stessa scelta di Dylan, un neverending tour, suonare, suonare, suonare. Ho tenuto circa quattromila concerti, mica scherzi… magari morirò sul palco. O magari di vecchiaia al Palagio. Se così sarà – tocco ferro – sarà un dolce morire”.

    • Questo pezzo su Sting sembra la scatola dei sogni per una vita “perfetta” – armonia con la natura, buon cibo ma semplice, arte, sesso (e niente droga e rock ‘n roll) -. Bello e impossibile, come direbbe la ragazza Nannini. O almeno, possibile solo per chi ha mezzi infiniti, carisma da vendere e nessuno gli rompe i coglioni se fa musica in mezzo alle campagne. A me, qui, arriverebbe una lettera anonima (è appunto giunta ieri, dal minus habens di turno) e/o Equitalia, come minimo!

  5. …Stento a crederlo…Una lettera anonima?!..a che “sproposito”,se non sono inopportuna ?…Mi son fatta di Lei,un’idea di persona molto attenta agli altri e oltremodo rispettosa….Buone cose

    • Grazie per la considerazione, gentile Elisabetta; probabilmente, però sono considerata un’impicciona, quando osservo troppo ‘puntutamente’ comportamenti altrui che mi pare nuocciano a tutti…
      Quanto alla lettera anonima, in realtà è stata indirizzata alle mie figliole; ‘colpite’ dallo scemo di turno (c’è sempre uno “scemo del villaggio”) in quanto donne, come si usa tutt’ora nell’Italia dell’arretratezza. Missiva consegnata ai carabinieri , i quali ritengono di aver individuato l’autore (a loro già segnalato da altri/e per situazioni analoghe: stalking, molestie e simili piacevolezze)…

  6. ..Si,immagino…chi ha la coscienza sporca gradisce poco sentirsi “osservato” mentre agisce “disinvolto”x i propri tornaconti,non rispettosi della comunità…Ma la “svolta”politica di Parma fa ben sperare…Non trova? finalmente un volto nuovo,appassionato ,fuori dal “coro”…che sa di dover lavorare x la comunità…Ingenuamente impacciato con le telecamere…ma va bene cosi’!!…gente vera,non “mummificata”come eravamo anche “costretti”a vedere…x chi li ha votati x tanti anni…Un saluto

    • Sì, Parma, più che far sperare, dovrebbe far riflettere i politici, inducendo quelli che da troppi anni hanno messo radici saprofite sul gobbone dei cittadini.

  7. …Sembra non ci siano stati danni.La protezione che avevo sembra aver funzionato.Mi perdoni x l’allarme…Un saluto

  8. ….Grazie…Mi era preso il panico…A stento riesco a mandare un’email…non son capace col pc…Ma x ora ,me la cavo…Abbiamo una cosa molto bella in comune…anch’io dipingo.Ho fatto l’Accad.a Firenze,tanti anni fa…Un saluto Elisabetta

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