L’amica con l’occhio lungo e il tatto da intenditrice dà una palpatina alla giacca (non nuovissima) che indosso a un vernissage. Sono cinquant’anni che vado ai vernissage e, come quasi tutte le signore di mia conoscenza, ho una specie di ‘divisa’ che indosso con la pretesa di essere a mio agio, sufficientemente elegante (dovrei virgolettare anche questo) e non apparire come una sciuretta che vuole (appunto) apparire. La giacca lunghetta che indosso me la sono disegnata io: ha tasche interne, un taglio semplice ma, soprattutto, il tessuto caldissimo e leggero con cui è stata realizzata mi ripara dal rinculo di freddo di un inverno inesistito; il discreto bon ton, spero che racconti scelte cromaticamente oculate: se il tessuto pregiato è costoso, lo è soprattutto perché garantisce una lunga durata, senza alcun esibizionismo.
E’ delicato scivolare nella terza età cercando di non essere presa per una vecchia babbiona un po’ rincoglionita, e spesso la giacca giusta aiuta. Spesso, ma non sempre, perché in questa società – abbastanza incivile – talvolta persino professionisti, che dovrebbero essere dotati di sagacia e interessati a lavorare correttamente, ti prendono sottogamba o addirittura non ti considerano affatto. Ho un bel daffare a telefonare a PrimaPagina e provocare chiedendo di guardare ai vecchi come a una risorsa: questa è una società incolta, che non sa di non sapere e che non è minimamente interessata a saperlo …
L’amica intenditrice mi scocca un sorriso complice e fa un piccolo commento sulla speciale morbidezza della giacca. E’ ciò che resta di Biella, le rispondo, e di tutte le frequentazioni biellesi che mi hanno fatto conoscere il lavoro, geniale talvolta, di quell’enclave della lana che ha saputo nel tempo conquistare il mercato inglese – spesso indossiamo capi con etichetta loro, per scoprire poi che si tratta di finissimi tessuti italiani -; Biella dove ho potuto scegliere, anche in luoghi segreti, scampoli, campioni, numeri zero, di quel lavoro meraviglioso.
Ma mentre le rispondo è come se saltasse un tappo e i ricordi colgono l’occasione per prendere la via diurna e riportarmi a qualche anno fa, alle mie avventure in quella terra così ricca di ingegni, e piena di trabocchetti. Una terra a cui sono rimasta legata, anche perché è morta lì mia madre, perché un’amica che mi ha svelato il mondo raffinato dei telai, delle cardature, dell’acqua che fa bella la lana (chi lo avrebbe mai detto) ha perso la ragione e non mi può più dare consigli e io non posso più girarmi dall’altra parte e scegliere di non seguirli.
E’ un attimo e nel ricordo mi ritrovo seduta nell’ufficio di un direttore di banca, con la donna elegante e gentile che mi ci ha accompagnata, a proporgli con spavalda timidezza di finanziarci un bel progetto, pur essendo noi così piccole di fatturato.
Ma no che non siete piccole, mi sorride bonario e ottimista il direttore. E mentre mi accorgo palpabilmente del pallore improvviso e della tensione dell’elegante e gentile accompagnatrice seduta al mio fianco, apre la nostra cartellina e cita il nostro fatturato che ammonta a otto volte circa quello che mi era stato fatto firmare da un commercialista locale molto chic…
Sono passati tanti anni da quei giorni; anni di incontri e di scoperte di un’Italia che non conoscevo; un paese che, letto sui quotidiani, assomiglia a un mosaico policromo di imbroglioni, azzeccagarbugli, furbacchioni e incapaci, che fa da fondale a farabutti più grandi e a un imponente sistema di corrotti e collusi. Nel tempo ne ho incontrati alcuni ma non tutti sono o erano così eleganti, né gentili, come la signora che impallidiva al mio fianco ascoltando il direttore della banca che le scopriva incautamente gli altarini.
Ho una piccola serie di giacche nate a Biella: sono le testimoni della capacità creativa e artigianale di quelle fredde valli. Le indosso volentieri, riscoprendo ogni volta il tepore e il senso di protezione che un tessuto di alta qualità può dare; però quel ricordo mi tormenta un po’ e mi chiedo: ma davvero do l’idea di essere una vecchia babbiona a cui far credere quel che si vuole?
Silvana! Meno male che ci sei tu ad esprimere certe cose a dar senso a quello che si sente dentro
E ma si sa che il tempo che passa – il nostro tempo – ha un sapore controverso. Soprattutto in questa società così spelacchiata …