Cast stellare nel paesaggio mozzafiato

DSCN9063Nel mondo che cambia, rivoltando tutto ciò che conoscevamo, spesso dandogli significato diverso (gli esempi sarebbero molti, ma non è di questo che vorrei scrivere qui, ora) ci sono comportamenti che non solo permangono, ma pure peggiorano; comunque mi sembra che non siano consapevoli di ciò che sarebbe più importante, ora. 

Per esempio, i nostri sedicenti comunicatori – talvolta persino residui di partiti in dissolvenza o persone che pensano che basti mettere i piedi nelle orme nitide di altri che sono passati da una certa strada per dire ci sono anch’io e sono identico a lui: infatti faccio le stesse cose – credono ancora che basti usare le stesse parole, messe pressapoco nella stessa sequenza, per essere: un giornalista, un pierre, un blogger possibilmente di successo perciò atto a ospitare pubblicità, un copywriter (cos’è?), un regista e così via con l’elenco di tutte le professioni viste in tv o al cinema e mal capite e digerite.

Mai nessuno che si faccia vanto di essere un bravo calzolaio, o una capace sarta (o anche solo riparatrice di abiti), oppure un carpentiere di vaglia. Questi mestieri non sono stati validati dalla tv e nemmeno dal cinema (peraltro meno guardato della prima); spesso puoi trovarne traccia in alcuni libri che però leggono in pochi. Eppure si torna ad averne bisogno.

Quindi anche persone apparentemente rispettabili e poco inclini a trasgredire i sani principi del milanesissimo ofelé fa ‘l to’ mestée (pasticciere fa il tuo mestiere, ovvero fa ciò che hai imparato a fare, con tutto ciò che ne consegue), vengono colte in fallo a scrivere reportage di pseudo giornalismo, magari in vista di raccogliere il tutto in un libro che fino a ieri poteva aspirare a contributi di soldi pubblici, per essere stampato e poi esibito dall’autore al grido di “ho scritto un libro”.

I più pericolosi sono i politici trombati, di cosiddetta buona cultura; e non alludo a quelli di nome e di spicco che di solito trovano un editore che, pensando alle relazioni politiche del de cuius, gli pubblicano graziosamente l’opera più o meno significativa. No, penso a quelli di secondo e terzo (e quarto e quinto, …) piano, che scrivono fingendo di non accorgersi che i soldi pubblici sarebbe ormai decente non chiederli più.

Ma li perdonerei anche, se scrivessero (si possono anche avere rivelazioni e sorprese positive!) qualcosa di nuovo, di fresco, di stimolante, che – per esempio – servisse a rilanciare questa nostra lingua che siamo reticenti a usare, di cui stiamo dimenticando le parole, che stiamo mortificando con anglismi fuori contesto e con espressioni che la deformano. Una lingua tra le più studiate al mondo, che numerosi stranieri si apprestano a venire a insegnare, in questo bel paese dimentico di sé stesso, E speriamo che la imparino bene, cioè che ci sia ancora qualcuno che la conosca e gliene insegni bellezze e significati, perché qui – in questa valle di depressi alla ricerca del posto ideale, cioè televisivamente appetibile – non c’è più un cane (o comunque sono uccelli molto rari) che capisca l’importanza di farlo.

Perciò può capitare che in queste belle colline, una cittadina antica con una piazza a misura d’uomo, in cui la luce gioca con alberi e pietre, dove ogni angolo che giri ti racconta cura e bellezza venga definita “paesaggio mozzafiato“, sempre e invariabilmente (e tutti siamo perciò senza fiato). In tale luogo, che per l’occasione diventa una location, giunge una troupe con registi famosi e altrettanto noti attori e interpreti che per la circostanza divengono un “cast stellare“. Con tanti saluti alla ricchezza linguistica, alla Toscana patria dell’italiano, al buon senso e al buon gusto. Chissà, tra un po’ anche l’italiano sarà delocalizzato?

Poveri ma Brutti

Per il mio diciottesimo compleanno mio padre mi spedì da New York, Observations,  il libro del fotografo Avedon con i testi di Truman Capote, appena pubblicato da Simon&Schuster; se ci ripenso, non posso che provare un’onda affettuosa verso quel mio genitore sempre lontano per lavoro e anche così lontano da quel mondo (design, moda, grafica, fotografia), ma così capace di essere vicino ai miei desideri e attento ai miei interessi di ragazza, da riuscire a scegliere per me il libro che divenne la cifra di quegli anni – raffinatezza e toni alti, con una grafica asciutta e impeccabile – dopo il lungo dopoguerra buio.

Se si sfoglia Observations, si incontrano i ritratti dei personaggi che formavano il paesaggio internazionale di allora – si va da una Karen Blixen vecchissima a BB trasfigurata da una nuvola di capelli – e si incontra anche un bellissimo ritratto di Marella Agnelli, che a me – allora – ricordò un busto del Laurana, tanto emanava eleganza e compattezza. Pensando alla data in cui fu scattata la foto non si può non pensare che l’eleganza sublime che emana da quel ritratto contrasta fortissimamente con l’Italia di quel tempo.

Infatti Avedon, nello stesso libro, dedica alcune pagine anche a scatti italiani, che ritraggono passanti e bambini contemporanei alla galleria di ritratti di personaggi importanti che sono il tema principale: è come se il fotografo avesse voluto fare un parallelo tra due mondi: quello dell’intellighenzia, dei personaggi internazionali, di alcuni uomini politici, e un paesaggio umano che probabilmente l’aveva colpito e emozionato, nelle vie delle città italiane.

La grande povertà del nostro paese in quegli anni ci arriva senza veli, in tutta la sua acutezza, come un grido dei bambini che ricordo in una delle immagini. Ma assieme a essa, vorrei quasi dire “dentro”, si sente la bellezza, il senso della bellezza italiana – quasi un audio, una musica – che dà ai miseri vestiti indossati da quelli che compaiono nelle foto di quelle pagine italiane già uno stile, come se fossero quelli dei personaggi di un film. Non di un film, si tratta, ma si sente che dentro c’è una storia, una poetica un mondo intero.

Queste sensazioni, anche queste, mi hanno accompagnato per anni; sono certa che il profilo immaginario del pianeta Italia sia stato nutrito, dal dopoguerra fino a vent’anni fa, forse trenta, con il racconto di come eravamo, mentre insolveva – nello stesso immaginario – il report di come stavamo diventando: la quinta potenza, la sesta forse – non so -, mondiale, con una crescita e una diffusione del benessere (sempre un po’ a macchia di leopardo) tale da farci dimenticare le acute asimmetrie di tale crescita, i buchi, le ingiustizie, le smagliature, le irregolarità, le illegalità, e poi i furti e le ruberie, le appropriazioni, i contrabbandi, le furbate, le evasioni, che hanno dilapidato la fortuna del (ex) Belpaese, esportandola nei fortini internazionali dei (relativamente) pochi ladroni – spesso con cognomi di spicco – a svantaggio dei molti fessi che si sono lasciati rubare lavoro e dignità da una banda internazionalizzata.

Ma ci resta l’ancora Belpaese, di cui si stanno sgretolando parti, tra terremoti, diluvi e frane, da un lato, svendite e cessioni, dall’altro. Quello che bisogna impedire, a qualsiasi costo è l’ulteriore avvilimento di paesaggi, beni storici e culturali, prodotti agricoli tipici, idee e cultura. La maggior parte dei cittadini l’ha capito: noi che viviamo in campagna – in una campagna molto bella e rinomata – lo sappiamo e lo tocchiamo con mano tutti i giorni. Non basta saperlo, però: bisogna parlarne; bisogna farlo sapere e capire a chi amministra e governa. Non vogliamo essere poveri e diventare anche brutti!