Quel chilo e mezzo sei tu

E’ stato il pensiero di un attimo.

“Capita, durante un’autopsia, di tenere in mano il cervello di un uomo: una massa gelatinosa, con una consistenza particolare che pesa circa un chilo e mezzo. Mi è successo di pensare in uno di quei momenti che tutto il nostro essere è lì dentro; lì sono i nostri pensieri, il sapere, i sentimenti, la nostra mente…”.

Poi l’anatomo patologo prosegue dando conto – con accenti vibranti, per niente cruenti – dell’emozione che ha provato nel fare questa riflessione. Il tutto avveniva al Festival della Scienza, a Genova, facendomi scattare una serie di domande e allo stesso tempo suscitando in me un’emozione simile. Che i nostri pensieri siano tutti lì dentro – chissà come si accalcano -, che i ricordi e tutto il resto … stiano in quel chilo e mezzo. Mentre ascoltavo alla radio il racconto di quel medico (che ha scritto un libro) guidavo in mezzo alla campagna, e riflettevo sul discorso di Ignazio Visco, fatto a Bari, ripreso poi da Stefano Feltri; discorso e dati a cui mi sono riferita nel post “Compratevi un libro!“. Pensavo al potere che hanno i libri di arricchire quel chilo e mezzo in cui sta racchiuso il nostro io, con tutte le fantasie del caso. Ci sono momenti in cui l’arretratezza del paese viene fuori prepotentemente e te ne accorgi anche dai titoli dei giornali, ma soprattutto dalle foto dei politici (più che da quelle che ritraggono gli imprenditori) … L’Italia è proprio divisa in due: quelli che leggono e che non sono necessariamente colti o snob, o migliori; sono solo persone con quel chilo e mezzo in movimento, bisognose di sapere o anche solo di informarsi. Poi c’è l’altra metà che non ha mai aperto un libro e che talvolta se ne vanta, che i libri li usa come sfondo, come pezzo d’arredamento. Mi ricordo quando presentavano le ricerche di mercato sui libri e veniva fuori che le enciclopedie erano acquistate come soprammobili, come oggetti che arredano la casa: ma eravamo negli anni settanta del secolo scorso!

Appuntamento con il Tempo

Ho spento la televisione, non ricordo più nemmeno quanti anni fa. Mi ero accorta che interferiva in modo determinante con la mia capacità di attenzione, disperdeva le mie energie, mi impediva di concentrarmi e riempiva i miei silenzi interiori con un mucchio di rumori senza senso.

Ho bisogno di essere informata, per sopravvivere e mi sono resa conto che guardando la televisione era come spalmare il mondo e i suoi sommovimenti con una spessa marmellata di prugne, scura e appiccicosa. Mi sono resa conto che il rumore emesso dalle reti tv era sempre più forte: potevano essere scene di sesso, violenza, suoni o dialoghi che avvenivano con il solo scopo di stupirmi, di farmi sobbalzare, di tenermi inchiodata a quel canale; è l’Auditel, bellezza, mi dicevo (e lo sapevo) perché l’Auditel era stato il mio profeta, per decidere dove andare a vendere la mia mercanzia, cioè a mettere la mia pubblicità.

Ma quelli erano tempi diversi – bei tempi! – quando cercavamo di convincere gli utenti pubblicitari a fare uno ‘spot’ intelligente; di intelligente allora c’erano le vacanze dell’Espresso (era lo stesso tempo). Ora, per rapire la mia attenzione, anzi la vostra, e impedirvi di cambiare canale, chi governa la televisione fa di tutto, fuorché informarci di quello che succede nel mondo e darci quindi gli elementi per capirne cause e decidere quali potrebbero essere le soluzioni. Perciò io la tv l’ho buttata nell’apposita discarica, tanti anni fa.

Però ogni tanto do una sbirciatina alla pubblicità, anche se troppo spesso quello che va in onda adesso è banale e deludente. Perciò non vedo il barcone che si rovescia, in diretta, la gente che muore, i campi profughi, i parlamentari in tailleur che dicono cazzate, il Papa che benedice (spesso nella stessa piazza San Pietro), il senato della Repubblica in subbuglio, i cortei e le partite di calcio; non vedo più i salotti televisivi (da secoli) con i maleducati che si danno sulla voce. Anche questi ultimi obbediscono alle esigenze dell’Auditel: fare fracasso, nessuna discussione pacata e chiara, bisogna generare inquietudine per alimentare l’instabilità e l’audience.

Ma allora come faccio per informarmi? Leggiucchio qua e là, scegliendo a istinto quasi a tentoni tra i miliardi di parole scritte, evitando gli strilli e girando alla larga dalle immagini: Le immagini mi piacciono – le foto, i disegni, i fumetti, la grafica – ma preferisco costruirmi un mio library personale, fatto da me. Internet è un’opportunità, ma cerco di evitare le sollecitazioni che cercano di muovere gli istinti e le reazioni di livello più basso, tutto ciò che lavora nella scia delle tecniche televisive. Poi penso, cioè metto in relazione gli elementi imparati spiluccando qualche quotidiano, la radio e osservando.

Nessuno vuole che si pensi; quelli che pensano sono pericolosi e sono dei potenziali sovversivi. In effetti è un po’ così; perché riuscire a capire perchè accadono certe cose, provare a immaginarne le cause che non appaiono, darsi delle spiegazioni, provare a cercarle in altri media o parlandone con qualcuno che potrebbe conoscere altri elementi, permette di non essere allineati a tutto quanto viene ammannito con il pastone televisivo quotidiano e di provare a ragionare con la propria testa. 

Questo è un tempo difficile, ma molto interessante; bisogna però dotarsi di strumenti per non farsi travolgere schiavizzati dal volere altrui. Prima di tutto penso che si debba salvaguardare il proprio silenzio interiore – uno spazio di riflessione indispensabile a ‘farsi una propria idea’ -, bisogna dotarsi di informazioni, imparando a ricostruirle e confrontarle; infine bisogna leggere e imparare il significato delle parole, e imparare a usarle per spiegare le proprie idee e per ascoltare meglio le idee degli altri. Per non perdere l’appuntamento con il tempo, la prima cosa da fare è spegnere la tv.

C’è Montalcino ctonia nei vini con l’anima

Micro e macro li puoi esplorare con grande godimento, a Montalcino; e li puoi bere in alcuni tra i grandi vini – grandi senza grandeur -, magari tutti diversi tra loro, ma tutti pervasi da passione e conoscenza. Conoscenza ricercata per passione, passione che si accende tramite la conoscenza.

Da laica non astemia, penso (e non sono sola a pensarlo) che quell’anima evocata a parole, che però non si limita alla parola, è una sorta di vibrazione (non serve esser “di cultura” per sentirla, o aver letto libri) che avvertono quelli che sono capaci di emozioni, che non hanno paura di sembrare ‘deboli’ o non sufficientemente machos (donne incluse!); quelli che non vanno dietro ai grandi marchi, (però qualche grande marchio può benissimo commuovere con un grande vino). Quelli che non hanno in mente, unicamente, di tirare a casa – costi quel che costi – unicamente, il fatturato.

E bisogna dire che essere ‘piccoli’ non basta, e nemmeno essere ‘autoctoni’ o ‘veri contadini’; non sono queste le condizioni necessarie e comunque non sarebberoDSCN5620 sufficienti. Mi è venuto in mente leggendo certe poesie della Bachmann, sull’Italia. L’ho capito leggendo e bevendo (anche oggi, con due amici affettuosi), qua e là, nella scelta che la terra di Montalcino offre a chi ha sensibilità e, o, interesse per la conoscenza e voglia di capirne la parte ctonia, quella che sfugge a chi rincorra (ancora?) solo gli aspetti più mondani e superficiali del piccolo miracolo di questa grande terra.

Non basta la parola, non basta un’etichetta – che sia dimessa o sontuosa – non basta raccontare una bella storia, non basta dirlo perché sia. Nei vostri vini vogliamo sentire, in silenzio, la passione e il morso. Leggere la Bachmann,  che ha vissuto, conosciuto e amato la parte più profonda, recondita e sotterranea della terra italiana. Leggere, bere, sentire, capire. Ogni sorso un piccolo miracolo che si racconta, in silenzio. Il fatturato è una conseguenza dell’amore.