Parlate – parliamo! – al muro. Perché se gli andiamo vicino e lo guardiamo, possiamo accorgerci che è vivo – vivissimo -. Dunque non lasciamolo solo, non dimentichiamo quanto abbellisca la strada che esso costeggia. Adottiamo un muro; sarà un appoggio per le nostre esistenze frettolose e distratte; ci racconterà la storia di chi c’era prima, del lavoro di quelli che, con pochi mezzi e ancora meno soldi, si sono presi cura di un pezzo di collina, del margine di una strada, dell’intorno a sé, per non farlo decadere. Quel lavoro è’ un pezzo della nostra storia, una delle ragioni per cui il nostro paese piace così tanto – a dispetto di tutto ciò che, invece, lo fa andare in pezzi -.
Troppa nostalgia?
Macché nostalgia, è solo un po’ di obbligatorio senso estetico:e una doverosa salvaguardia del bello, in un paese che, pur cadendo a pezzi – fisicamente e moralmente (persino con l’aiuto di un terremoto) – dovrebbe avere un po’ più cura di sé stesso, ed essere consapevole di quello che deve evolvere, migliorare e innovarsi, ma sapendo distinguere ciò che va protetto e salvato.
Non credo che questo genere di esortazione significhi aver la testa girata verso il passato e la sua mera conservazione. Perché se parliamo di futuro dobbiamo incominciare a tenere da conto (anche) il buon gusto naturale delle cose. Osserviamo il valore che il tempo e la natura aggiungono a un muro, al modo in cui il tempo che passa lo arricchisce di presenze che non chiedono altro se non di essere lì.