Il Colore delle Parole

Campari e Calassole parole del campariessere brilli e vederci chiaroleggere per piacere Vivo nella terra del Brunello e quando voglio andare a Milano, bevo un Campari. Il pensiero arriva subito a destinazione, nella mia testa, e non è quello della “Milano da Bere”, che sarà stata effimera ma non era poi così sgradevole (almeno per chi beveva!), ma è quello delle parole – anzi della parola scritta: quella che fa l’uomo differente e meno piatto -; delle parole e dei libri; delle pagine in cui perdersi per poi ritrovarsi diversi, dell’editoria assaltata dal business, dalla finanza, dalla politica (e magari dalla ‘Ndrangheta); parole per dire il proprio dissenso (o la propria volontà), libri per incrementare pensieri e azioni. Editoria per alimentare il bisogno di conoscenza: ingrediente indispensabile per alimentare l’amore.

 

Proviamo a guardare più in là

“Se si affronta un problema con il metodo razionale del pensiero si ottengono dei risultati logicamente corretti ma che, proprio per questo, sono già implicitamente compresi nell’esposizione del problema stesso. Quando si richiede invece una soluzione veramente diversa e innovativa si deve stravolgere il problema, partire dal punto più lontano possibile, ribaltare i dati, mescolare le ipotesi, negare certe sicurezze e addirittura affidarsi ad associazioni di idee del tutto casuali.”

La citazione viene da un libro di DeBono – autore (e docente) che ho conosciuto e frequentato, negli anni d’oro del lavoro illuminato dallo sguardo (davvero liberal) di un presidente straordinario – Mario Formenton – uno con l’occhio lungo, generoso e ‘cinico’ allo stesso tempo. Uno che mi permetto di definire cinico, proprio perché aveva capito un sacco di cose; tra queste, che la formazione – anche quella apparentemente meno immediata nel produrre frutti – era (è, sarebbe) un investimento. Perché dipendenti e collaboratori che capiscono – nei fatti concreti – che credi in loro, sono più legati emotivamente all’attività che svolgono, sono più interessati a risultati ottimali, perché in essi vedono anche un risultato della propria creatività e della propria personalità.

Questo è il lavoro. L’ho imparato prima da mio padre (che mi esortava a ‘metterci l’anima’, a qualsiasi attività mi dedicassi), un vero perfezionista. L’ho imparato poi in una serie di incontri – i primi fortunati, poi, sul filo delle esperienze, cercati tra i consulenti e i formatori giusti -.

Oggi quello che mi stupisce di più, nel posto in cui vivo, è proprio la mancanza di ricerca del meglio. Il posto è strepitoso, na da “posto” bisognerebbe farlo diventare “luogo”, tuttavia credo che quelli che ne condividono la differenza, davanti a una proposta del genere, penserebbero a qualcosa come “più elegante”, oppure “più moderno e attuale”, oppure “bisogna cercare di sfruttare meglio le nostre qualità”. Ancora moltissimi, nonostante il momento, penserebbero a un modo per incrementare il fatturato!

Invece c’è un’altra strada, ci sono altre vie, che cominciano dall’esistente – in natura o nelle nostre teste – e poi ci conducono a guardare più in là, cercando, attraverso associazioni mentali libere (e poi orientate), prospettive diverse. Attenzione: prospettive, sviluppi, non arzigogoli o superfetazioni all’esistente.

Ci sono maestri di pensiero che lavorano, e hanno lavorato, su queste capacità (che ognuno di noi – quasi tutti – possiede); essi sono capaci di allenare la nostra mente verso visioni “laterali” rispetto a quelle già scontate, che fanno parte dell’esperienza quotidiana. Funziona per le attività lavorative, ma aiuta ad affrontare la nostra esistenza imparando a trovare strumenti alternativi – ma anche più adeguati – a quelli consueti. Sarebbe importante usare questo modo di pensare, nei momenti di cambiamento (come quello in cui siamo immersi fino al collo); ma è molto difficile farlo da soli. Perché è come se noi abitassimo in una casa dotata di molte porte, ma fossimo così abituati ad usarne sempre – poniamo – un paio, tanto da non vedere quasi più le altre; quelle che ci consentirebbero l’ingresso diretto a qualche spazio che conosciamo poco o niente, anche se esso fa già parte del nostro appartamento.

E’ un attitudine, quella che sto citando, agli antipodi di un modo d’agire che si incontra troppo spesso, e che impedisce di manifestare la propria creatività.

Questo sarebbe il momento; questo sarebbe anche il posto giusto, per pensare al futuro; perché dove sono evidenti le risorse, i valori e le qualità intrinsecheil mare come lo vorremmoè anche più facile pensare a nuove vie. Nel momento in cui pochi non hanno ancora capito che cambiare il modello di sviluppo è oramai una questione di sopravvivenza (economica e umana), bisogna attrezzarsi per “un nuovo modo” e un “nuovo sguardo”. e il primo attrezzo di cui munirsi è proprio un (bel) po’ di pensiero laterale; qualcosa che è in noi, ma che pochi di noi riescono a utilizzare.