Indovina chi non viene a cena

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Se mi chiedessero che cosa vorrei riavere indietro dalle mie vite precedenti, non esiterei a rispondere: lo struggimento! Sentire gioia, dolori, nostalgia di qualcuno senza filtri. Senza razionalizzare, senza ‘farsene una ragione’, senza mediare – fare un passo indietro, essere ragionevoli, badare agli equilibri, andare incontro, tacere per rispettare l’altro e le sue idee; avere un occhio di riguardo; ricercare il politicamente corretto -.

Provvede il giorno, che finisce, a darmi un buffetto al cuore: il piatto è di Michiel – qui ogni piatto è un passaggio, un’estate, un campo di ragazzi, un concerto per gli amici – ma il tavolo arriva dal paese: una famiglia aveva scelto qualcosa di moderno, che parlasse di futuro e non di vecchiumi di paese. Allora non capivo, perché l’emozione era proprio ritrovarsi nelle vecchie cose che venivano dalle vecchie case – buttate via da chi voleva immaginarsi in un futuro diverso, come chi butta le stoviglie dalla finestra a capodanno -. Allora non capivo come si potessero buttare sedioline dell’Amiata, madie, credenze fatte di vecchie assi e poi dipinte; le panche – gioia di antiquari e rigattieri – e i mobili delle vecchie sacrestie, estasi dei milanesi.

La luce luccica sui pomodorini dell’orto integrato (annaffiati poco e zero trattamenti: si lavora sulla prevenzione, mi par di capire), ridisegna il bordo decorato del vaso, il cane abbaia sulle scale: ha un suo modo speciale di annunciare uno sconosciuto o qualcuno  già di casa. Apro la porta e Michiel è in cima alle scale insieme ai campi LPC, alle sere in piazza, alle camminate estenuanti attraverso le strade bianche che vanno e vengono tra bosco e poderi.

Ho visto passare otto lustri senza riconoscerli, non sono come il cane e non devo annunciare niente; i passi indietro, politicamente corretti e impeccabili sono quasi invisibili. Emozionarsi una rarità, struggersi non esiste: meglio pettinarsi con cura scompigliando i capelli e camminare in riva al bosco aspettando l’inverno.