Merenda con Gioia

Ritrovare un mondo – che ti ha nutrito di conoscenza negli anni più intensi della vita – può diventare una merenda lunga un pomeriggio intero di una giornata lombarda, sotto il cielo vasto di cui ogni tanto mi dimentico. E gli ingredienti non sono solo la zucca, le verdure e i pesci, né si limitano al vino – anonimo e meraviglioso pinot nero vinificato in bianco – né alle stoviglie, al giardino più lombardo che mai, agli uccelli che chiedono di partecipare. E quello che mi torna in mente – nitido e commovente – è un mondo intero che non era solo della mia gioventù, ma quella di una città che si apriva alle arti, alle lingue, ai segnali, al lavoro intelligente delle mani, ai grandi fotografi, a Bruno Munari, a Sottsass, ai grandi architetti che non erano star, a Fornasetti e alle mostre del Caravaggio e degli astrattisti; ai grandi temi della conoscenza che entravano nei dialoghi della gente di tutte le età e di tutte le appartenenze. Una Milano che viene appena prima di quella cantata da Lucio Dalla, troppo civile e aperta al nuovo per sospettare che sarebbe stata annientata dall’invasione del nullificio.DSCN8104DSCN8108DSCN8114DSCN8110 DSCN8107Merenda con Gioia è anche ritrovare una grande artista figlia di quegli anni e scoprire che tutto è rimasto intatto, che sotto il cielo di Lombardia dove pullula di tutto, è rimasto un angolo di ricchezza vera, fertile, feconda e piena di energia. DSCN8100

Dire, fare, lavorare

Più del bicchiere di vino, mi affascinano i tanti lavori che gli stanno intorno. Intorno e dentro alla vigna, al vino e alla cantina; intorno e dentro all’agricoltura colta. Sono lavori lontani da un’idea (sbagliata) d’Italia che affiora sulle pagine dei giornali e nei discorsi che intesse la politica: impiego pubblico, lavoro ai giovani, sgravi fiscali (!) per dare un lavoro, senza chiedersi quale, con quali competenze e come procurarsi queste ultime.
Sono cresciuta in un’Italia che rifuggiva il lavoro manuale, confondendolo con ‘manovale’ e tacitamente attribuendogli connotati di rozzezza e incultura; dove i giovani sono stati spinti dalle famiglie a mettersi un colletto bianco, dopo che la Fiat aveva indotto i contadini a lasciare le campagne per arruolarli in fabbrica (in una Torino ben diversa da quella del Salone del Libro e anche di Eataly).
Mi domando se il precipitare imminente di quella che ci siamo abituati a chiamare crisi (ma che è una strategia globale di appropriazione indebita di beni e diritti) darà tempo ai giovani di capire la bellezza del lavoro, di quello vero, non del posto (che non c’è più) di lavoro cantato dal film di Ermanno Olmi.
Penso ai giovani di tante età che aspirano a diventare giornalisti, registi, pubblicisti, pubblicitari (ma in realtà venditori di spazi), e che non conoscono il lavoro manuale, anzi magari lo disprezzano pure.
Poi capito in cantina e vedo il “vecchio” e il giovane al lavoro, un lavoro vero e affascinante (e pure ben pagato). Mi viene in mente che a Milano ci sono tanti avvocati quanti nella Francia tutta, che tutti i pizzaioli milanesi sono egiziani. Che gli operai agricoli sono arabi e i più umili lavori della vigna – per produrre vino – spesso li fanno dei musulmani che forse si pongono domande imbarazzanti. Che sono i macedoni a tagliare i boschi e accudirne le legna ….Che han più occhio gli americani dei nativi a promuovere lo stile toscano.
Mi viene in mente anche l’ineffabile bellezza un po’ noiosa della vita in campagna e quanto ci sarebbe da fare per ripopolare – senza enfasi, e neppure annunci – con gente e raffinato (e produttivo) lavoro agricolo (e dintorni) la (quasi ex) bella terra d’Italia. Mentre i due maestri bottai lavorano di gran lena, con competenza e un profondo legame con quello che stanno che stanno facendo,,,in particolarerisultatoolslavoro impegnativoil sapere al lavorobatman è stato quisapere e farelavoro finitomaestri bottai