Segnali, segni, segnalazioni

DSCN0675Mentre in giro imperversano le sagre, di tutto il cibo immaginabile, nella campagna si moltiplicano i segnali di fine stagione. Non so perché la fine dell’estate colga tutti così immalinconiti, come se solo con il caldo ci si potesse permettere un po’ di spensieratezza. Forse sarà a causa dei costi crescenti del riscaldamento, che raffreddano gli entusiasmi per l’imminente autunno. Qui a Sant’Angelo in Colle paghiamo il gas 4 euro al metro cubo, cioè – se non ho letto male su internet – circa quattro volte il suo prezzo di mercato.

Ecco che i piccoli borghi, le frazioncine di cui sono disseminate le campagne, si svuotano. Oppure qualcuno potrebbe suggerirmi un’altra lettura: i costi lievitano perché c’è meno gente e i costi di gestione vengono suddivisi fra meno utenti … sì, ma non si dovrebbe incentivare la gente a rimanere nelle zone rurali che – come recita la dichiarazione di Cork “per la priorità dell’ambiente rurale in Europa”- sono un’alternativa fondamentale allo stile di vita metropolitano, per i giovani europei?

Non solo riscaldarsi costa quattro volte quello che si spende in città. Per avere il privilegio di vedere le rondini radunarsi, a cominciare da metà agosto, giorno dopo giorno e accingersi a partire verso sud, qui rinunciamo ad avere un cellulare che funzioni ‘normalmente’, facciamo a meno di internet abbastanza spesso (soprattutto se il vento è forte o se piove in modo sconsiderato); il fulmine (evento frequente) brucia tutte le schede elettroniche che trova in paese, nonché qualche modem e ovviamente l’illuminazione stradale.

E’ vero che la campagna è un bene di lusso – e lo diventerà sempre di più – ma per viverci bisogna allenarsi con i frati trappisti. Lo penso, mentre osservo le prime avvisaglie della prossima transumanza delle rondini: i rondoni sono partiti a luglio, ma di loro non sento la mancanza, mentre le rondini lasceranno dietro di loro un vuoto. Perché vivono quasi dentro casa (lo farebbero se glielo si permettesse: più di una volta sono state sorprese a costruirsi un nido in una stanza a loro gradita), perché osservano l’andamento casalingo e si regolano su di esso, perché chiacchierano con noi, a modo loro. Le rondini stanno per andarsene, i turisti no!

E non è che sia un male: si vive di turismo. Ma quest’anno tra il luogo e i turisti si è spezzato qualcosa. Sempre più spesso arrivano, si cambiano le scarpe (a volte anche il vestito, in macchina) scendono dall’auto parcheggiata il più vicino possibile alla loro sedia al ristorante, fotografano il tramonto, anche quando non c’è, mangiano e se ne vanno. Il fatto è che spesso hanno auto più grandi della piazzetta del paese e ignorano completamente il parcheggio che sta a poco meno di cinquanta metri dalla piccola piazza. perciò all’ora di pranzo e a quella di cena, il villaggio è completamente sfigurato dalle auto, parcheggiate alla rinfusa.

Quando mi accorgo, dai loro segnali, che le rondini stanno per partire, mi viene sempre in mente la storia de Il Principe Felice, ma le rondini di oggi, per loro fortuna, non sono così generose; inoltre io non conosco nessun Principe Felice altrettanto preoccupato per i poverelli. Anche questo probabilmente è un segno dei tempi.

Inverno Italiano

Ho avuto un capo che, a un certo punto della sua permanenza in casa editrice – dove lavoravamo entrambi – ha scritto un libro. Il libro non l’aveva materialmente scritto lui (scrivere richiede tempo e lui era l’amministratore delegato di un gruppo articolato e complesso), ma raccontava, credo piuttosto fedelmente, del suo lavoro nella Germania est, al tempo della riunificazione; un complesso incarico ufficiale, conferitogli da qualche istituzione, il cui obiettivo forse era quello di individuare i punti d’incontro tra due culture separate, fino ad allora, da un muro al cui abbattimento Gorbaciov aveva dato il suo contributo indispensabile.

Quel mio capo (era ancora in procinto di dare un nuovo impulso alla propria carriera) si lamentava con me di aver venduto solo ottantanove copie del suo libro (che era stato pubblicato da uno dei marchi del gruppo editoriale da lui amministrato); si lamentava perché riteneva che il libro meritasse ben di più. In effetti, il libro era scritto bene, da un giornalista che aveva raccontato bene gli episodi salienti di quella stagione di lavoro così impegnativo, in un momento così significativo per la storia della Germania e dell’Europa.

“Ma caro mio – gli avevo commentato – se, invece di scrivere un libro intitolato ‘Autunno tedesco’, tu avessi proposto ‘Primavera francese’, avresti avuto un gran successo, indipendentemente dai contenuti; anche se i contenuti, in questo caso, non possono che peggiorare la situazione!”.

In quel periodo c’era una grande attenzione per la Germania che dava l’idea di essere in procinto di compiere un’operazione immane; ricordo che alla Buchmesse a Francoforte circolavano delle t-shirt nere con dicitura “Endlich, ein Deutschland weniger”, testimoniando un’inedita autoironia. Quel mio capo era persona colta, ma un po’ noiosa, come tutti quelli che scoprono un po’ tardi nella vita un lato inedito dell’esistenza, tendendo poi a concentrarvisi troppo; però sarebbe uno con gli strumenti adeguati (e lo sguardo giusto) a tagliare finalmente i costi di stipendi, prebende, privilegi costosissimi e dintorni, del milione (o poco più) di politici, manager pubblici, loro amici e amici degli amici, che sono all’origine di questo inverno italiano, di cui è impossibile vedere la fine.

Potrebbe farlo molto bene, perché oltre a possedere le qualità ideali per affrontare i problemi della complessità dell’azione, non dovrebbe ‘tagliare se stesso’ (è la precondizione indispensabile affinché i tagli siano effettivi). Poi magari potrebbe scrivere un libro, facendosi aiutare da un giornalista giusto, via di fuga dalla banalitàper raccontare l’epopea, e pubblicarlo con un titolo finalmente primaverile. Io gliene sarei così grata da promettergli fin d’ora almeno tremila copie vendute.