A Ovest del Sole

(“Je suis Japonaise”) Sembra che il genere (dis)umano abbia espresso un’ennesimo mostro … Mi sono svegliata pensando alle lacrime della signora Goto – dall’altra parte del mondo – e al figlio Kenji, obbligato ad assistere al macello dell’amico e a riproporlo al mondo; anch’egli possibile prossima vittima sacrificale al disegno sadico di un mandante ignoto.

Dimentichiamo velocemente gli orrori del passato, sconvolti da quelli che ci “offre” la quotidianità. Me lo ricordava avant’ieri John McNamara e me lo faccio tornare in mente, riandando a diaspore e genocidi, massacri e atrocità del passato, constatando che ancora una volta Cavalli Sforza ha ragione – siamo tutti tutt’uno, non c’è razza che tenga, nonostante gli ignoranti perseverino a crederlo – anche se non siamo capaci di vedere dietro le apparenze; apparteniamo allo stesso genere e tutti siamo capaci di atrocità, val la pena tenerlo a mente …

Oggi sarei anche greca (“je suis Grecqe”) pensando al tentativo dei Greci di alzare la testa dal giogo europeo e tutte le trappole connesse, e pensando anche a quanto la scelta dei greci ci costerà – cioè a quanto ci faranno pagare -: gira nella mia testa il pensiero che tutto ciò accade mentre il prezzo del petrolio sta scendendo e così cambiando gli equilibri di stati e paesi, e soprattutto della gente che ne è vittima. Quanto pagheremo, per esempio, per il calo del prezzo del petrolio?

 

Più vedo, più guardo. Più leggo, più capisco

 

DSCN1939“Sia io, sia Vasilij Ivanovic siamo sempre rimasti colpiti dall’anonimia delle varie componenti di un paesaggio, così pericolosa per lo spirito, dall’impossibilità di non riuscire mai a scoprire dove conduce quel sentiero che … e guarda com’è invitante quel folto d’alberi! Capitava che su un pendio lontano o in uno scorcio intravisto fra le piante comparisse e, diciamo così, restasse immobile per un istante, come l’aria trattenuta nei polmoni, un luogo tanto incantevole – un terrazzamento, un prato, l’espressione perfetta di una bellezza tenera e benevola – da far credere che fosse possibile fermare il treno e andare là, per sempre, da te, amore mio … Ma mille tronchi di faggio già balzavano avanti forsennati, turbinando in una pozza sfrigolante di sole, e di nuovo svaniva l’occasione di raggiungere la felicità”

Anch’io come Vasilij ho imparato il paesaggio nei lunghi viaggi in treno fatti con mia madre che mi esortava a guardare e a ‘vedere’ ciò che guardavo. Sono stati i libri, poi, a darmi gli strumenti per leggere anche le emozioni che provavo e che continuo a sentire nel guardare e vedere il paesaggio, i paesaggi – anche i più consueti -. Ho trovato quel sentire, così ben descritto nei racconti di Vladimir Nabokov, quelli raccolti sotto il titolo “Una Bellezza Russa”; la citazione è tratta dal racconto intitolato “Nuvola, lago, castello” e penso che racconti perfettamente il sentimento di chi guarda (e vede e perciò sente!) il paesaggio in cui noi umani viviamo, camminiamo, e agiamo.

Forse sta crescendo una nuova sensibilità, ma il gusto del paesaggio (il senso estetico di ognuno è davvero influenzato da fattori e circostanze e frequentazioni) che potrebbe accomunare molti, è fortemente incrinato dalla banalizzazione televisiva e dall’arrivismo (anche legittimo in un certo senso) di quelli che, costruendosi una casa, o ristrutturandone una, o arredandola, o piantumando il proprio giardino, sono sospinti e motivati in modo confuso – nelle loro scelte – dall’incapacità di ‘provare emozioni’, se non quelle suscitate dall’idea del possesso e dai soldi. Tutt’ora!

E’ abbastanza inevitabile in un paese povero come il nostro: povero d’idee che non siano legate (ancora) all’idea di successo, soldi, esposizione di ciò che i soldi che uno ha guadagnato consentono di avere. Avere per essere, anzi per apparire, come un po’ sommariamente citava il Renzi Matteo – addobbato Scervino – (meglio essere che apparire, eccetera, si vede che gli avevano parlato di Eric Fromm) in uno dei predicozzi ammanniti all’incolto (nella sua lettura non completamente inesatta dell’italiano medio: altrimenti chi lo voterebbe?!) e un po’ meno all’inclita.

Eppure il paesaggio è un capitale sociale che solo il nostro cattivo gusto collettivo, o le rapine a cui è soggetto in questi frangenti il nostro paese, possono sottrarci. Ed è un bene importante (sarebbe), perché vivere in un bel paesaggio è alla base di una qualità di vita superiore: qualcosa che potremmo anche commercializzare, proponendola a chi non ce l’ha e viene a cercarla da noi  e siccome noi siamo un paese di non lettori, non abbiamo gli strumenti conoscitivi (e di sensibilità) indispensabili a capire e tradurre ciò che capiamo in fatti, comportamenti, modi di sentire.

A questo serve leggere: non per obbligo nemmeno per citare, e non per esibire. Troppa tv brutta, sciatta, banale hanno annichilito la vera crescita dell’Italia.

Saluto natalizio dal paese del paesaggio, al tramonto (tra mare e Monti)

Prima abbiamo avuto uno che ci ha dichiarato che con la cultura non si mangia; ora abbiamo (avuto, per il momento) uno molto ambizioso che ci fa andare tutto di traverso: le sue dichiarazioni si potrebbero riassumere così –andrò dove c’è il voto – (e se mi va male lì, son sempre in tempo per il Quirinale) .
Tra un equilibrismo e l’altro dei partiti che tendono a farsi votare schermendosi da questo professore-banchiere-tecnico, non si sa a che voto votarsi, ma noi facciamo partire i nostri pensieri da questo paesaggio, che non si mangia, ma che dà da mangiare (benissimo) e da bere anche meglio: buon paesaggio a tutti!  Guardarlo è gratis, emoziona e fa pure bene alla salute.