Nel mondo che cambia, rivoltando tutto ciò che conoscevamo, spesso dandogli significato diverso (gli esempi sarebbero molti, ma non è di questo che vorrei scrivere qui, ora) ci sono comportamenti che non solo permangono, ma pure peggiorano; comunque mi sembra che non siano consapevoli di ciò che sarebbe più importante, ora.
Per esempio, i nostri sedicenti comunicatori – talvolta persino residui di partiti in dissolvenza o persone che pensano che basti mettere i piedi nelle orme nitide di altri che sono passati da una certa strada per dire ci sono anch’io e sono identico a lui: infatti faccio le stesse cose – credono ancora che basti usare le stesse parole, messe pressapoco nella stessa sequenza, per essere: un giornalista, un pierre, un blogger possibilmente di successo perciò atto a ospitare pubblicità, un copywriter (cos’è?), un regista e così via con l’elenco di tutte le professioni viste in tv o al cinema e mal capite e digerite.
Mai nessuno che si faccia vanto di essere un bravo calzolaio, o una capace sarta (o anche solo riparatrice di abiti), oppure un carpentiere di vaglia. Questi mestieri non sono stati validati dalla tv e nemmeno dal cinema (peraltro meno guardato della prima); spesso puoi trovarne traccia in alcuni libri che però leggono in pochi. Eppure si torna ad averne bisogno.
Quindi anche persone apparentemente rispettabili e poco inclini a trasgredire i sani principi del milanesissimo ofelé fa ‘l to’ mestée (pasticciere fa il tuo mestiere, ovvero fa ciò che hai imparato a fare, con tutto ciò che ne consegue), vengono colte in fallo a scrivere reportage di pseudo giornalismo, magari in vista di raccogliere il tutto in un libro che fino a ieri poteva aspirare a contributi di soldi pubblici, per essere stampato e poi esibito dall’autore al grido di “ho scritto un libro”.
I più pericolosi sono i politici trombati, di cosiddetta buona cultura; e non alludo a quelli di nome e di spicco che di solito trovano un editore che, pensando alle relazioni politiche del de cuius, gli pubblicano graziosamente l’opera più o meno significativa. No, penso a quelli di secondo e terzo (e quarto e quinto, …) piano, che scrivono fingendo di non accorgersi che i soldi pubblici sarebbe ormai decente non chiederli più.
Ma li perdonerei anche, se scrivessero (si possono anche avere rivelazioni e sorprese positive!) qualcosa di nuovo, di fresco, di stimolante, che – per esempio – servisse a rilanciare questa nostra lingua che siamo reticenti a usare, di cui stiamo dimenticando le parole, che stiamo mortificando con anglismi fuori contesto e con espressioni che la deformano. Una lingua tra le più studiate al mondo, che numerosi stranieri si apprestano a venire a insegnare, in questo bel paese dimentico di sé stesso, E speriamo che la imparino bene, cioè che ci sia ancora qualcuno che la conosca e gliene insegni bellezze e significati, perché qui – in questa valle di depressi alla ricerca del posto ideale, cioè televisivamente appetibile – non c’è più un cane (o comunque sono uccelli molto rari) che capisca l’importanza di farlo.
Perciò può capitare che in queste belle colline, una cittadina antica con una piazza a misura d’uomo, in cui la luce gioca con alberi e pietre, dove ogni angolo che giri ti racconta cura e bellezza venga definita “paesaggio mozzafiato“, sempre e invariabilmente (e tutti siamo perciò senza fiato). In tale luogo, che per l’occasione diventa una location, giunge una troupe con registi famosi e altrettanto noti attori e interpreti che per la circostanza divengono un “cast stellare“. Con tanti saluti alla ricchezza linguistica, alla Toscana patria dell’italiano, al buon senso e al buon gusto. Chissà, tra un po’ anche l’italiano sarà delocalizzato?