A Lezione dal Maestro, purché sia quello vero

Sì, purché sia un vero Maestro e lo sia anche con il cuore, cioè con uno slancio che gli viene da dentro e gli dà quella forza – quell’energia psichica – che i discenti riconosceranno anche senza accorgersene, senza razionalizzare.

In tempi di cibo a tutto spiano, purché sia commestibile e se ne possa parlare (o sparlare), spuntano a destra e a manca maestri di gelato, di cioccolato, di lievitazione (o forse di levitazione?), di sfogliatelle, e così via. La spiegazione del fenomeno forse non è solo nell’avvento di Expo, ma – a mio parere – sta nella spinta delle multinazionali del business che da tempo sanno che sette miliardi di uomini sono un target sicuro per un unico prodotto: il cibo e l’acqua.

Cibo che ha caratteristiche religiose, salutistiche, estetiche – etiche, mondane, e qualche volta (spesso?) diviene simbolo di un’appartenenza sociale (status symbol). Mangio (o non mangio) carne o nutrimenti che derivano dal mondo animale, digiuno per ragioni spirituali o perché me lo suggerisce (o impone) la mia religione, oppure me ne frego; non butto mai il pane (ed ecco che riscopro la panzanella) per ragioni scaramantiche o religiose, oppure perché non è elegante farlo (e non lo è davvero!). E così via.

In questo mondo in cui il cibo è tornato a essere centrale – come in tempo di guerra (infatti) – anche un panettiere di serie B, un po’ furbo o con un consigliere lungimirante accanto, può reinventarsi “maestro”, anche se non sa usare appieno la lingua italiana,  e aspirare a insegnare a nuove generazioni di donne e di uomini (che non l’hanno mai imparato dalle loro nonne smemorate), come si fa a fare un pane, o un dolce, o una crema, anche molto sempliciDSCN7027.Donne e uomini lo ascolteranno ammirati (più uomini che donne?), perché del cibo non si può fare a meno e sette miliardi di clienti vengono orientati, condizionati, pasturati come carpe, e sospinti a scegliere – in questo periodo – tutto ciò che è (o appare) home made, nei punti vendita imprescindibili, come Eataly insegna (in modo sempre meno convincente). Perché il cibo è soprattutto business e il maestro questo lo sa, perché ci campa: l’importante è che insegni con il cuore, affinché il suo pane (o quel che è) sia condito, non solo con gli strafalcioni ma anche con i semi del futuro. Scegliere il Maestro giusto, questa è la scommessa (e il mio augurio). Buon Independence day!

Le Mani in Pasta

Le parole sono quelle per dire un gesto arcaico e bellissimo, un lavoro di quelli che nutrono il mondo. Quando le senti ti puoi immaginare mani di rezdora appoggiate a un grembiule candido e un po’ ruvido, mani sporche di farina che si muovono – robuste e veloci allo stesso tempo – oppure le mani di un maestro di pasticceria, che ti propone una delle sue ‘chicche’ naturali (magari dopo averti proposto per anni altre ghiottonerie un po’ più artefatte; ma si sa oggi se non è naturale che ne parliamo a fare? Perciò il ‘maestro’ più o meno silenziosamente convertito alla naturalità, ti propone con ‘naturalezza’ gli stessi prodotti – buoni, buonissimi! – che prima ti vendeva sotto altre spoglie (mentite?).

Lo stesso maestro – la rezdora è introvabile, a meno che si tratti della comparsa di un set di cuisine, o di pasticceria: uno di quei ‘master-qualcosa” che ora vanno per la maggiore – però, pilotato da maestri di pensiero (e di parola), dai soliti spin doctor o loro succedanei ti racconta che uno degli ingredienti del suo dolce prelibato è (udite, udite!) l’amore, addirittura. Magari l’amore per i soldi? Insomma è l’era della parola, anche se mai il dire (parole) e il fare (cose concrete) sono stati più lontani, e così a lungo, l’uno dall’altro.

Così può accadere che ad avere le mani in pasta possano essere personaggi un po’ equivoci, tutti succedanei di (ex) figure prestigiose. Professionisti, ora un po’ scalcinati; artigiani, che si rieditano quali business men, figure pubbliche dall’aria un po’ disorientata e sì, anche qualche chef divenuto succedaneo di sé stesso, per pura ambizione, e magari di seconda mano … finiti i bei tempi del lievito madre che era la madre di tutti i lieviti. Ora quello che conta sono le parole e quando va bene delle belle foto che cantano il Kyrie al recente passato, fatto di croissant e di charlotte, di cioccolato e di torte mimosa, con in mezzo i salati più salati (per via del prezzo) mai passati su questo schermo.

Avere le mani in pasta può voler dire cercare le scorciatoie – conoscendo un paio di persone ‘giuste’, essendo ben collocato nel sistema (come un topo nel burro chiarificato) – per rastrellare soldi, per far fare carriera a quelli che ti interessano, per pensare a rimediare una gaffe…

Sì, le parole possono impressionare, contribuire a scaldare un’atmosfera, ma da sole non portano lontano, non bastano a rattoppare le coscienze un po’ sudaticce, a rasserenare un volto arcigno e teso, insomma a cambiare la sostanza delle cose; soprattutto se di ‘cose concrete’ si era abituati a trattare.