Il Futuro nell’Orto

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DSCN6019 E’ il luogo in cui facevo merenda, da bambina, con una chioccia che veniva a farmi visita, circondata dalla sua nidiata pigolante – pane burro e miele di lavanda -, una merenda ricca, un po’ datata, da figlia unica e nipote privilegiata da una sventolata di zii.

Questo è il mio ricordo infantile dell’orto, e quando mi ritrovo nel verde coltivato – alle vigne ormai ho fatto l’abitudine – il ricordo si confonde con un sentimento decisamente più attuale: la sensazione precisa che nel verde degli orti ci sia una gran vitalità; la sensazione che nel verde dell’orto ci sia la risposta a tutto ciò che conta.

Le obiezioni sono più che scontate, soprattutto leggendo e ascoltando le (non)notizie che assediano questa estate deforme. Entri nell’orto e guardi: puoi vedere quante declinazioni e coniugazioni di verde; puoi guardare e vedere le forme di infiniti frutti, obbedienti a un lavoro modernissimo. Non c’è niente lasciato al caso, nell’orto; tutte le azioni sono concatenate tra di loro e si susseguono nel seguire la stagione. L’orto è senza fine, è dialogo continuo; tu fai e la terra risponde. E’ il regno del verde, dei ricordi delle infanzie fortunate. E’ il luogo centrale di un futuro commestibile.

Insalata era nell’orto

Chi vive in città non ha elementi per mitizzare il lavoro della terra – produrre cibo e bellezza, sostanzialmente – ; poi quando ti ci avvicini, ti accorgi dei suoi molteplici significati, incluso quello – indimenticabile – del paesaggio. Forse di quest’ultimo dato, noi di città siamo più consapevoli di chi nel paesaggio è vissuto da sempre, e perciò lo trova (doppiamente) naturale.

Poi, quando vieni a stare in campagna, ti riappropri dei sapori delle cose. Io che vivo in una delle campagne più famose del vino, sono tornata a gustarlo (il vino) doppiamente, sia perché tra i duecentocinquanta circa Brunello e Rosso posso scegliere quello che mi somiglia di più, sia perché conosco (e ammiro!) il lavoro della vigna, pur non avendolo praticato.

Penso che per apprezzare fino in fondo il vino e l’olio e gli altri alimenti di cui la terra e gli uomini sono capaci, bisogna avere la conoscenza del lavoro necessario a produrli. E un pomodoro – è quasi banale affermarlo – è tanto più buono se te lo dà l’uomo che ha seminato, innaffiato e zappato, per ottenerlo. E a proposito di semina, ho ancora ricordi di semi messi al sole, per farli asciugare, perché saranno messi nella terra l’anno successivo a quello in cui si è consumato il frutto da cui provengono.

Ma tutto questo non piace all’Europa, che sta studiando una legge per proibire l’uso di semi non acquistati (dagli amici degli amici, I assume) dalle aziende produttrici (ma non è madre natura a produrre i semi?), non solo per prodotti che saranno messi in commercio, ma anche per l’uso nel proprio privatissimo orticello, nel frutteto, nel piccolo campo personale.

Mi sembra che le multinazionali, dopo aver esperito altri settori, abbiano messo gli occhi sul ‘food’, consapevoli che l’informazione sempre più capillare e diffusa sta mettendo ogni cittadino in condizione di scegliere che cosa e come consumare – a partire dal cibo -.

Forse avremo ragioni meno poetiche per canticchiare “maramao” cui non mancava l’insalata (“era nell’orto”), domandandoci “perché sei morto?”, o forse, di questa canzoncina un po’ sciocchina, i produttori di sementi (ma non è Madre Natura a detenere il copyright?) faranno un jingle per uno spot che vende i semi di qualche brand amico degli amici della UE.DSCN5576DSCN5578DSCN5584