Se non sei sommelier

DSCN1117Se sei un enologo tanto meglio per te; sei probabilmente più famoso di un attore, ben presto ti chiederanno anche l’autografo, sei un protagonista della nuova stagione, della way of life più desiderabile – the age of wine (copyright Biasutti) -; sei l’uomo più invidiato, che fa il mestiere più desiderabile … A meno che ti sia successo un incidente di percorso con uno dei tuoi clienti, come ho letto oggi sul Corriere della sera, pagine di Firenze: “enologo fiorentino stalker, pazzo di gelosia ha minacciato una sua cliente, ed è finito in manette”. Così almeno c’è scritto sul quotidiano in edicola oggi.

L’ho letto con scarso interesse, un po’ impigrita dalla canicola, un po’ distratta da altre idee sul vino – più profonde e interessanti -, trovate altrove. Ma, possiamo rendercene conto se non viviamo nelle nuvole, non passa giorno senza una notizia sul vino, sia essa di economia o di consumo (cioè di vita quotidiana). E non c’è vita quotidiana senza vino (così pare), o senza considerazioni sulla cantina di questo o di quello. Perché non c’è questo o quello che non abbia vigna o (più probabilmente) che sia esente da passioni enologiche. Ci chiamavamo Enotria e sarebbe bene che tornassimo a quel nome (o dovrei dire denominazione?). Non si beve ‘un bicchiere di quello bono’, ora si degusta: un verbo che trovo impiccione e un po’ disgustante come il suo sostantivo. Ma critiche lessicali a parte bisogna prendere atto della tendenza. Se avete figli o nipoti badate che non si accasino con un astemio (con o senza apostrofo e nel pieno rispetto del gender, o no: fate voi), sarebbe una iattura, finirebbero fuori dalla commedia quotidiana. Che sia almeno sommelier, e poi può anche essere avvocato o ingegnere, o quello che il mercato del lavoro gli consente di essere, purché sia sommelier e allora il dialogo è garantito e la socialità pure.

E’ strano rendersi conto della centralità del vino vivendo in mezzo alle vigne; ed è ancora più strano accorgersene quando sei in città e la gente sa che vieni dalla campagna (anzi da uno dei luoghi più rinomati del vino). Strabuzzano gli occhi e vogliono sapere tutto. Una volta chi aveva “la casa in Toscana” era guardato con invidia e concupiscenza (ricordo bene l’autrice romana di un best seller famoso sollecitarmi imperiosamente di invitarla in Toscana); ora fa più colpo chi svela di abitare in mezzo alle vigne – per esempio – di Montalcino. Oppure accanto a quelle dell’Etna, o in Piemonte (o nel meraviglioso Friul). Ma Montalcino ha più successo sia perché c’è un ‘residuo’ di Toscana che affascina tutt’ora (nonostante una serie di fattori l’abbiano resa un po’ antipatica agli italiani), sia perché il paesaggio qui la fa da padrone, sia perché il Piemonte non ha ancora recuperato il suo carisma d’antan (difficile non lasciare il cuore intorno a Barolo); l’Etna – bellissima e smagliante – è lontana e pochi conoscono il Friuli e i verdi turchesi di quelle parti (che ho ritrovato citati in una tavola di Paolo Caliari – “nell’Orto di Getzemani” – custodita a Brera).

Faccio una scommessa: quando qualcuno scoprirà quel colore vorrà essere in grado di risalire a un vitigno che gli corrisponda e correrà a fare un corso di sommelier.