Margarita e Margaritas

DSCN8271Il battello scivola tra onde nere e grasse, il fiume compie una mezzaluna; Algiers è lontano sulla riva di fronte, lo vedo dietro al triangolo giallo del mio frozen Margarita. Il battere sordo delle grandi pale che sporgono dalle fiancate mi ricorda che quello era un deposito di schiavi. Quando il nero del fiume diventa una striscia di colore contro il verde afoso de La Chalmette (so che la battaglia ha lasciato una scia di morti), il ghiaccio è mezzo sciolto e il Margarita si trasforma in un ricordo: il Giamaica e le canzoni degli anni giovani a Brera. I colori sono straordinari ma i numeri dicono che il fiume è profondo cinquantasei metri e il rombo è spaventoso. E’ un fiume d’inchiostro: colore, sostanza, storie, blues. Una voragine, un inghiottitoio di racconti, la cerniera tra tre poetiche, tre continenti. Un viaggio nei libri che raccontano storie meticce. Penso a un libro speciale – un libro che racconta di esilio – che racconta come sopravvivere alla nostalgia di sé per amore di qualcuno, raccontando. Poi ci sarà la cena, in un giardino nel quartiere francese; come sempre l’ospite è un personaggio che ha scritto la sua storia affascinante, ha labbra scarlatte e il rossetto porta il suo nome. Abbiamo bevuto Montrachet e ammirato gli intagli e le esili colonne, ma non abbiamo pubblicato quel libro.

Stai bene attenta, mi diceva il giovane giornalista con lunghi boccoli e l’aria di provincia saputa, a chi racconti la tua storia e non dire niente a chi può solo fraintendere …

margaritas ante porcos (lat. «perle dinanzi ai porci»). – Frase tratta da una esortazione di Gesù, nel Vangelo di Matteo (7, 6: nolite dare sanctum canibus, neque mittatis margaritas vestras ante porcos «non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle ai porci»). L’espressione si ripete talvolta come invito a non fare per gli altri cosa che essi non siano in grado di apprezzare nel giusto valore.

Ho disegnato un fiore a Montalcino

Quando frequentavo la scuola media avevo un professore di disegno che si chiamava Francesco Speranza; lo ricordo come un uomo piuttosto bassino, animato da un sacro fuoco che lo entusiasmava quando ci faceva copiare le nature morte allestite sulla cattedra. Era, mi ricordo, sempre sorridente ma fermo nei suoi propositi, fervente cattolico, ogni tanto ‘tirava in ballo’ dei soggetti religiosi (mi par di ricordare) ma risultavano molto meno appassionanti delle nature morte in cui io sistemavo delle belle mele renette un po’ rugginose … erano gli anni della Scuola Media Tadino, che associo mentalmente a “I Promessi Sposi” e capisco subito perché: il cortile della scuola, dalla parte che confinava con via San Gregorio, era delimitato (e lo è tutt’ora, ovviamente) da una costruzione seicentesca, con un fossato e con dei camini piuttosto appariscenti; tutto in mattoni scuri e ancor più scuriti dal tempo e dalla fuliggine milanese; perché quello era uno dei lazzaretti ai tempi della peste.

Tutti questi ricordi vengono all’unisono, affiorano bruscamente mentre rifinisco un disegno – ci sono giornate in cui il desiderio di mettere la penna sulla carta e lasciare che la mano vaghi sul foglio è un’urgenza irresistibile e mi dà una soddisfazione totale, come mangiare appagando un appetito vero – che mi è venuto il bisogno di fare dopo aver visto in una camminata pomeridiana il cisto in fiore, il fiore più strepitoso (anche più degli iris!) che ci offre la macchia mediterranea e che segna, da queste parti, l’inizio del mese di maggio.

Ho sempre disegnato, da piccina e poi da adolescente, fino agli anni del liceo e poi all’Accademia di Belle Arti. Ricordo che quello che disegnavo, a disegno terminato non mi piaceva: gli trovavo tutti i difetti, soprattutto una certa pesantezza che mi sembrava togliere verità alla raffigurazione e appesantirla con una certa goffaggine …Poi ho imparato a staccarmi da quello che avevo disegnato e a riguardarlo dopo qualche giorno e allora riuscivo a vedere anche qualche aspetto più convincente. Ma ben presto ho smesso di disegnare per il mio piacere e ho disegnato per lavoro, come designer prima e in seguito come art director. La vita poi mi ha portato lontano dall’Accademia e dal disegno per diletto o per ricerca personale e il mio lavoro ha avuto sviluppi imprevedibili e piuttosto singolari.

Mi sono ritrovata con una penna e un taccuino da disegno tra le mani solo molti anni più tardi, in un luogo affascinate e antico, Jerash, sulle rive del Wadi Jerash a nord di Amman, sito abitato sin dai tempi del Neolitico, ma ricco soprattutto di vestigia romane. Avevo lasciato a Milano la macchina fotografica e non ho trovato niente di più pratico che disegnare quello che volevo memorizzare e riportare visivamente a casa. Da allora non ho più smesso di disegnare e ho scoperto che i disegni mi arrivano da dentro e da lontano, e che posso disegnare tutto, se lascio che la mano vada per conto suo …

Anche oggi con il fiore del cisto – disegno raramente dei fiori, ma il cisto era irresistibile –  ho capito che volevo metterlo nel mio cahier, senza leziosi compiacimenti, solo per ricordare quei cinque petali color magenta, il cuore giallo oro quasi zafferano, le foglie solo in apparenza spente, con una barbina morbida che ne vela il verde, spegnendolo e velandolo di grigio, come fossero impolverate.

Mi è venuto in mente dopo, con un sentimento di gratitudine, il professor Speranza, pittore di vaglia che si guadagnava da vivere come insegnante in attesa del successo giunto qualche anno dopo; mi sono tornati in mente di colpo i suoi pungolamenti, le sue esortazioni, e poi i commenti di mia madre (che forniva le mele renette per gli still life sulla cattedra). Mia madre che voleva fermamente che avessi anche una formazione artistica e ambiziosamente mi sospingeva alle lezioni – di disegno e di piano – perché bisogna allenare tutte le nostre sensibilità, senza pretendere di padroneggiare i risultati (o di diventare degli artisti), ma prima di tutto per il piacere di imparare e di mettersi alla prova.

Tutto questo avveniva prima. E poi oggi ho disegnato il fiore del cisto, a penna in bianco e nero ma pensandolo con tutti i suoi colori.