Lì dove sto è un posto dove potrebbero anche avvenire miracoli. Qualche volta è successo. Ne hai la sensazione in certi momenti, quando non c’è nessuno in giro a rompere il fiato della natura che respira e invia messaggi. Meno male che c’è lei, qui. Altrove c’è meno, ma uno si accorge meno di cos’è diventato il nostro paese. Altrove le cose si confondono un po’. Qui invece – quando ti abitui a capire da cosa nascono i comportamenti, i gesti, il modo di salutare – capisci tutto. Ed è come un “imparaticcio” del paese Italia.
“Imparaticcio” è una parola che non mi sentivo in testa da un’infinità di anni; risale a quando andavo dalle monache (parte delle scuole elementari, la prima classe delle medie, un anno di liceo dalle suore Orsoline, dove ho conosciuto Paolo VI). Imparaticcio è un ‘campionario’ di punti di cucito e ricamo che la piccola alunna esegue su un rettangolo di stoffa e poi replicherà, messi in bella, su tovaglie, federe o altri pezzi del corredo, durante le lezioni di economia domestica.
Perché lì dove sto – tornando all’imparaticcio come metafora – è come vedere, attraverso una lente d’ingrandimento un campionario di quello che non sappiamo di essere. E quando te ne accorgi è tremendo. (Forse per questo una volta la gente beveva così tanto da ammalarsi e morire; morire per dimenticare?).
La campagna è bellissima. La campagna è tremenda, perché se non parli con gli alberi, o se non leggi i giornali, al di fuori delle attività domestiche (per le donne o per i vecchi scapoli) e delle attività agricole, non ci sono attività ‘terziarie’, o se ci sono, sono attese da poche persone, e non hai nessuno con cui ridere. E ridere è importantissimo: soprattutto di sé stessi. Ma le vecchie massaie e gli operai agricoli non hanno voglia di ridere: gli operai per stanchezza e le massaie per disabitudine.
Oggi ho letto che gli organismi viventi al mondo sono per il 98%, o giù di lì, vegetali. Nel resto ci metti insetti animali uomini. Forse, lì dove sto, la percentuale da attribuire al vegetale sarebbe anche più alta: lì dove sto gli umani sono davvero pochi e più o meno consapevolmente te li ritrovi a portata di lente. Perciò capisci quando hai fatto qualcosa che al paese – cioè agli abitatori del paese – non piace, oppure non capiscono; capisci quando pensano che tu sei troppo assente, o troppo presente, o che sta cambiando qualcosa nella tua vita. Qualcosa a cui magari non riescono ad attribuire un significato.
Si chiama ‘controllo sociale’ ed è qualcosa che può assomigliare al mobbing, se uno non ha dentro di sé qualcosa di più di quello che è la quotidianità, intesa come mangiare, dormire, l’auto, (il vestito?), la messa (Messa), cosa ha fatto X.
Per riassumere: lì dove sto non c’è ironia, il sarcasmo regna sovrano. Una come me, che ha militato a lungo in pubblicità (quella vera, con il messaggio, la promessa, la reason why, il consumer benefit e – soprattutto – il tone of voice) è abituata a dare valore all’ironia, che è lo zucchero che manda giù la pillola, e che è anche la ‘lente’ attraverso cui guardare la vita che scorre veloce.
Cenavo con una zuppa di lenticchie e pensavo alla vita che scorre veloce, mentre leggevo – sul Corriere della Sera – un’intervista a Bill Gates:” I soldi non mi interessano”. Ho fatto un salto sulla sedia chiedendomi ohibò che cosa ne avrebbero pensato, di questo incipit, lì dove sto …
“ 22 aprile 1994 – Non sono riuscito a vivere in campagna. Alla fine degli anni Sessanta ero già stanco della città, delle ore trascorse nell’abitacolo esiguo e puzzolente della mia utilitaria, dei pomeriggi al supermercato fra scatole, scatolette, carne al neon, frutta e verdura dipinta, vini, surgelati, gelati, detersivi, biscotti di provenienze fantastiche. Non ne potevo più dei megadibattiti sul film da andare a vedere, delle gite nei disperati weekend, delle serate indigeste al ristorante, degli amici, delle mogli degli amici, della moglie. Così decisi di fuggire in campagna, insieme ad altri che erano del medesimo avviso. Ma la campagna ha un difetto: non esiste. È solo bella. Belle le albe fredde lungo le strade coperte di brina gelata, belli e strazianti i tramonti dietro le colline nere e viola, belli i paesaggi, i silenzi, il canto melodioso degli uccelli. Bello il camino, il ciocco arrossato, le fiamme e le scintille che salgono in allegro disordine. Bella la neve pulita che imbacucca gli alberi, i muri e le pietre. Bello lo spazio libero, le discese precipitose, le erte superbe. Tutto bello. E poi? Sono tornato in città. Nel consolante, sperimentato orrore che mi somiglia. “.