Leggo la recensione di un libro che raccoglie le opere e la storia professionale di Mario Bellini. Ricordo di averlo incontrato un’ultima volta a una sfilata di Armani. Avevo un ricordo vivido di quando era arrivato all’ufficio sviluppo de La Rinascente. Eravamo già stati trasferiti in piazza Carlo Erba. Prima il nostro ufficio era all’ultimo piano, di fronte al Duomo e la luce inondava l’ufficio, strutturato in una sorta di open space ante litteram.
Negli uffici di piazza Duomo avevo conosciuto Alvar Aalto, Eero Saarinen e Vuokko Eskolin – lo stile finlandese andava molto e io vestivo Marimekko -. Il trasferimento in Carlo Erba aveva significato anche per me un transito dal tempo dell’utopia a quello dei ‘piedi in terra’. Ma sempre in un mondo ad alto tasso di creatività.
In Carlo Erba, un giorno, si erano materializzati Mario Bellini, Italo Lupi e Roberto Orefice. Tre achitetti che (immagino) Augusto Morello, che dirigeva quell’ufficio con talento, passione e occhio al futuro, aveva stanato e catturato per aggregarli al gruppo di grafici e designer che componevano l’ufficio. I Tre non si fermarono molto: si capiva che l’ufficio sviluppo era solo una ‘stazione’ di un cammino ambizioso e fortunato. Era l’intermezzo su un percorso di meritatissimi, grandi, successi professionali. Ma Mario Bellini non era il direttore del design della Rinascente!
Morello, a quel tempo, aveva una prima moglie, un’ungherese con gli occhi color topazio, e Mario Bellini non solo aveva una marcia in più, ma era anche pieno di vitalità e di empatia. Ma non era il direttore del design della Rinascente, come sta scritto sulla recensione del libro.
Ieri, incontrando due ex colleghi di casa editrice, tra inauditi e ghiottissimi pettegolezzi (tutta roba vera!) abbiamo ricordato un po’ di appropriazioni indebite di meriti editoriali da parte di un direttore dell’area libri famoso soprattutto per le scappatelle sentimentali. “Io speriamo che me la cavo” – per esempio della cui presentazione in comitato editoriale, da parte di Gabriella Ungarelli, ho memoria precisa e di cui ricordo l’accoglienza tiepida da parte dei soloni presenti- viene millantato come successo personale da uno di quelli che usano il passo pesante e la voce stentorea per dar conto dei propri successi. Come pure è accaduto per un autore come Dan Brown – mi ricordavano i colleghi – individuato e proposto da un giovane editor Magagnoli, anche lui vittima di trattamento analogo.
Allora uno fa bene a chiedersi quanti ‘tradimenti’ di verità, magari più delicate, si consumano, in assenza di testimoni dotati di buona memoria, e quanto pagano questi ultimi nel momento in cui si affacciano – sul web o sulla carta – per raccontare ciò che sanno. La memoria è strana: meno uno ha talento, più ricorda come proprio il frutto di quello altrui.
Chi non racconta balle è il campo, la terra, il grano che cresce. Qui, in questo tempo di mezza estate, il paesaggio è disseminato di bellissime rotoballe. E io vado a camminare tra quelle.
Quindi la prima moglie di Morello aveva un tresca con Bellini?
No, perché mai avrebbe dovuto? Magari non si sono nemmeno conosciuti. Io invece ho conosciuto lui, e anche lei (la prima moglie di Augusto Morello) e forse sono stata una dei pochissimi dell’ufficio ad averla incontrata: per questo ho scritto dei suoi occhi che avevano un colore incredibile e mai più visto.
No, la moglie di Morello e i caratteri di Bellini sono due annotazioni parallele, che non credo proprio si siano mai incrociate.