Come un insetto sotto la lente di un entomologo: così è abitare – anche per periodi saltuari – in un piccolo paese.
Pare lo sappia molto bene chi mi si confida a questo proposito, e mi dice della nausea indotta dalle maldicenze, dalle supposizioni, dai si dice.
Io so che quell’entomologo che mi si affaccia in mente non assomiglia proprio a Nabokov, come forse chi si fa insetto a beneficio di qualche illazione paesana non è proprio una delle rarità che il magnifico scrittore cercava, studiava e che poi sono finite nei musei di storia naturale nordamericani.
Il pettegolezzo è un’attività praticamente sconosciuta a chi vive in una città abbastanza grande da garantire il beneficio dell’anonimato alla maggioranza degli abitanti.
E’ invece una piccola piaga dei luoghi in cui c’è sempre qualcuno che osserva, controlla e quasi sempre non capisce il senso delle azioni degli osservati. Anche perché di solito si tratta di persona poco dotata dal punto di vista neuronale.
Nasce dall’inazione, dalla pigrizia, dalla debolezza del carattere e … dalla solitudine in cui trascorre la vita quotidiana nei piccoli luoghi di campagna.
E’ il prezzo che si paga in cambio del profondo silenzio, della possibilità di osservare – a propria volta – cielo, tempo, fenomeni naturali, animali e loro abitudini, umani e loro tic.
C’è anche chi si lascia contagiare dalla pressoché totale assenza di adrenaline, scivolando a sua volta nella nauseabonda abitudine; c’è invece chi ne è totalmente immune, vuoi per snobismo, vuoi per educazione familiare.
Certo, il grande spartiacque tra la vita in città e quella in campagna è – in fin dei conti – l’adrenalina; sprizza e schizza da tutte le parti in città, costretti come si è a confrontarci fisicamente con un gran numero di passanti o di interlocutori sporadici, totalmente sconosciuti.
Mentre nella quiete un po’ tombale di un piccolo paese, ogni passione già spenta, resta solo quella per il denaro. E allora la gara è quella di impedire che l’invidiabile ne guadagni più di te, o che guadagni una posizione a cui corrispondano prebende golose.
La campagna si distingue per una certa concretezza (“andiamo al sodo!”) nelle faccende di denaro, mentre in città – pure a fronte di un’esistenza più impegnativa, anche fisicamente – c’è spazio per un ventaglio più ampio di attività, pensieri e azioni, che disperdono e diluiscono gli eventualmente cattivi umori nei confronti di un altro.
Solo impegnando cuore e mente in attività che li appassionino e li nutrano adeguatamente si riesce a superare il disagio che ti può procurare la sensazione palpabile di essere una farfalla tutt’altro che speciale osservata da qualcuno che non assomiglia per niente a Vladimir Nabokov.
Carissima Silvana, capito per caso (parlavo stamattina di te con Francesco il Burroni) e leggo questa tue sacrosante considerazioni. Pur avendo trovato una casa da sogno, pur avendola arredata da cima a fondo (e la cima è una torre del Mille, che svetta tra quella dei Salimbeni e quella dei Tolomei e serviva per controllare le risse tra i due) dopo nemmeno un anno abbiamo lasciato Siena proprio solo perché Giovanna terribilmente soffriva dell’invadente curiosità di persone persino simpatiche. Adesso mi riprometto di leggerti sistematicamente, non più per un fortunatissimo caso.
E da questo punto di vista Siena è un paradigma, o forse un prontuario? Insomma ci siamo capiti.