Apro il giornale e leggo che

Il giornale (Corsera) lo apro dopo aver fatto scorrere un’abbondante quantità di blog e essermi guardata gli appunti – su facebook – di un bel po’ di amici e conoscenti in queste ore a Verona, o dalle parti di Verona – a Cerea – per presentare i loro vini e tastare il polso al mercato.
Apro il giornale anche dopo aver chiacchierato a lungo con l’amica Silvia – on the phone – discutendo (ma soprattutto prendendo atto) della situazione orribile in corso nel nostro paese; una situazione così scopertamente ‘pilotata’ da potentati (e da speculatori farabutti), che ci fa dire – come constatazione finale – che l’Italia è un paese senza speranze, ormai al capolinea.
“Si salvano la terra, l’agricoltura e soprattutto il vino“, dice Silvia e io sono d’accordo.
Aprire il giornale, quest’oggi (e dopo queste constatazioni così amare), porta subito all’inserto odierno “Vino”, che celebra l’inizio dell’appuntamento di Vinitaly, e ne sottolinea il profilo mondiale.
La lettura mi riserva le solite ovvietà, alcune sorprese, tra cui una  positiva, ed è l’intervista a Ettore Riello (nel suo ruolo di presidente di Veronafiere), il quale a un certo punto dichiara “La dimensione ridotta delle aziende (vitivinicole; ndr) … è al contempo la forza del prodotto italiano …un prodotto che non muta le proprie peculiarità in funzione del mercato di destinazione, che non si piega ma che piuttosto racconta una storia italiana di passione e di capacità di fare. …”.

Be’ è la prima volta che leggo parole così nette che riconoscono il grande lavoro collettivo di tanti piccoli vignaioli che sono diventati una bandiera importante e sono un valore complementare (e sinergico) a quello delle grandi aziende – della cui immagine sono anche i motori -, visto che oggi il mercato tiene la testa girata verso la terra (avendo capito che essa è la ‘merce’ più rara che vi sia) e questa non è certo incarnata da nobiluomini in tweed e calzoni di velluto, appoggiati a un filare, a rimirare il lavoro fisico degli altri…

 

Ma poi però leggo anche le dichiarazioni dell’aitante figlio (22anni) dell’abilissimo patron di Eataly; o perlomeno quelle che gli vengono ‘messe in bocca’ dal giornalista che, intervistandolo gli fa dire ” il ‘mio’ Barolo”, parlando del lavoro, dello sguardo e dell’ingegno di un signore che si chiama(va) Bartolomeo Borgogno e dei discendenti che han dato vita a questo vino e a questa azienda – recentemente acquistata dal babbo dell’intervistato – nel millesettecento. Naturalmente, conoscendo l’intraprendenza del patron di Eataly, posso immaginare che questi salti – davvero di palo in frasca! – appartengano più al giornalismo e alle necessità di impaginazione (e di nutrire il lettore superficiale) che al giovane protagonista dell’intervista (che invece per diventare protagonista di quel vinoavrà bisogno di un po’ di anni).

Più tardi, dopo aver incontrato nella piazza del paese in cui vivo (osservando altri fare vino) un impiegato di un’azienda agricola di amici – che mi faceva osservare l’assenza del Brunello, dall’inserto – ho scorso la doppia pagina dedicata ad Attilio Scienza che parla del Sangiovese (titolo cubitalissimo), rigorosamente evitando di menzionare – appunto – il Brunello, e ora immagino che dietro questa ‘scelta’ vi sia qualche scaramuccia. Poi, tra le pagine del Vino vedo l’Arianna Occhipinti (di cui è appena uscito un libro – Natural Woman – che mi accingo a comprare), ma si parla di lei (anziché per l’azienda e il vino) piuttosto per promuovere la Sicilia, con il solito discorso delle “donne”, che mi fa arrabbiare. La Sicilia ha tanti numeri, le donne che fanno vino sono tante; Arianna è una outsider, una vera star, una che lavora tanto e bene. Si è un po’ stufi – voi no? – dell’uso rètro del genere femminile, quasi fossimo in uno zoo. Ci sono donne che fanno vini strepitosi e altre che usano l’essere donna per fare affari nel mondo del vino. Sono due approcci diversi e non sto a rivelarvi quale dei due preferisco.

Non ho ancora finito di sfogliare il Vino del Corriere della Sera e non so se quel che resta da leggere sarà condivisibile – soprattutto se rispecchierà un po’ quel che si sente frequentando il mondo del vino – tra produttori, importatori, operai e tecnici, appassionati e sommelier ufficialissimi -.

Infine mi ha strappato un sorriso ottimista il post su facebook di Francesca Padovani – mia figlia Francesca – che documenta la sua ‘avventura’ annuale con abbondanza di foto; una che riprende in primo piano l’etichetta del Brunello di Montalcino del Paradiso di Manfredi, l’azienda di un produttore che Francesca stima molto, e che commenta così:”Grande vino!”. Alla faccia di chi ancora non ha capito che la classe non è acqua e non ha occhio per il lavoro degli altri.

Ciao Enzo, ciao

Ciao Enzo, mi ricordo che c’è stato un periodo – piuttosto lungo – in cui abitavamo entrambi in via Sismondi; mio figlio una volta ha anche rubato la targa del tuo studio medico. Ora la tua targa è a casa mia a Milano (che poi è anche dove abita lui). Ora che te ne sei andato, è divenuta preziosa; lo scrivo non perché la penso come un oggetto da collezionista, ma perché è un pezzetto di te, che hai preferito svignartela da questo paese, che da meraviglioso che era sta diventando infame. Soprattutto per i giovani – viene sottolineato ogni giorno (tanto sottolinearlo non costa niente!) – ma anche per noi vecchi che, in un certo senso, patiamo ancora di più, perché abbiamo costruito, credendoci onnipotenti, una società sbilenca, dove son anche cresciute un po’ alla chetichella, un po’ grazie alla nostra cecità, una serie di greppie oscene e insaziabili che stanno divorando il paese alle spalle di quelli (e non sono pochi!) che credono ancora al lavoro ben fatto, all’attenzione per l’altro che ha meno, al capitale culturale del paese, all’importanza di essere per bene e perciò non speculare sugli altri, ma soprattutto non speculare sulla “cosa comune”; quella che purtroppo viene ancora considerata res nullius, dagli speculatori (che anche quelli non sono pochi!).
Se ne fossi capace, ti scrivere volentieri in milanese, ma lo farei solo se riuscissi a traslitterarlo correttamente… perché mi piace cercare di scrivere correttamente.
Il mondo è già pieno di analfabeti e di gente volgare, ma quel che io trovo più grave, è che ci sono anche gli analfabeti dell’anima. Quelli che solo i soldi; quelli che il recesso più intimo è nelle pieghe più intime del portafogli; quelli che la musica è il tintinnio delle monete. Ora che sto in campagna – io dico in esilio, ma è un vezzo – in una campagna molto speciale, a un tiro dal mare, a un altro dalle terme, a un altro ancora da una montagna che è addirittura magica, pensavo di aver raggiunto la perfezione…che la bellezza dei luoghi – e sono davvero belli! – ammorbidisse il pericardio; invece pare di no, o almeno non abbastanza. Questa dove sto è una collina d’oro – quasi alla lettera – piena di bellezza e di cose buone da mangiare (e soprattutto anche da bere: so che con te tocco un tasto a cui, da vivo, eri sensibile!). Qui fanno un vino che provoca “emozioni”, una merce rara, come sai benissimo, un vero miracolo, secondo certi amici miei un po’ ‘intellettuali’, ma questa delle emozioni è una cosa che qui  – pensa – sottovalutano, da sempre. E sì, che questi dovrebbero essere uomini vicino alla terra…ma questa dell’importanza delle emozioni mi pare che non la capiscano molto. Ci vorresti tu a cantargliela, magari dopo aver bevuto un po’ del vino di questi qui, che – da bravi toscanacci – purtroppo non sanno nemmeno da lontano che cosa sia prendersi un po’ più alla leggera, con un mezzo sorriso e un’emozione vera in fondo agli occhi. Ciao, Enzo, ciao.