L’inverno non ha una sola faccia; mentre si annuncia più crudo, con le temperature che scendono e i venti artici in arrivo, vado a visitare l’orto della nostra canonica; è un fazzoletto di terra, racchiuso tra muri vecchi e di bell’aspetto, minuscolo teatro delle gesta della gatta Rachele, che ama restarvi imprigionata (preferibilmente d’estate) e luogo prediletto di Alba – donna di talenti e volontà – che qui li esercita, realizzandosi.
Un orto, che è un giardino, che è una serie di pensieri, che è un luogo di sogni (e perché no, di illusioni), che fa pensare alla terra e al cielo, contemporaneamente. Al cielo, data la contiguità con la chiesa parrocchiale e la profusione di fiori; alla terra, grazie ai frutti, che sono un po’ come i pensieri di Alba quando prendono forma e sostanza, e colori.
Un orto ci può salvare la vita, esattamente come la bellezza e i buoni pensieri; e quest’orto – e i suoi pennuti e discreti abitanti – esprimono dell’Italia, in questa fase da basso impero, ben più di quello che sanno dire i politici in cashmere e in loden: talento, passione, amor proprio, senso estetico, dignità del lavoro. Un orto per salvare l’Italia?
Alba fa politica, nell’orto e in cucina…
Dici siamo già al punto degli orti di guerra?
Non in quel senso (anche se in giro ci sono situazioni di cui metà del paese e la politica tutta non si rendono conto). Quello che ho voluto affermare è la necessità impellente di un ritorno alla concretezza, di obiettivi che riguardano la gente e non più solo i trecentomila individui che succhiano il grosso delle risorse del paese (politici e immediati dintorni!). Alba è una metafora della parte di paese (mica tutto, eh!) laborioso e creativo.