La Gaja vendemmia

Ricevo (bontà sua) periodicamente, da Angelo Gaja delle note, dei comunicati, dei press, che spesso mi condisce e arricchisce di notiziole e chiose addentellate che sono (per la sottoscritta) anche più sapide dei comunicati a cui fanno corollario.
Oggi mi è arrivata una nota sulla vendemmia che mi conferma la lucidità dell’uomo più sagace tra quelli che abitano il mondo, variegato e non sempre amabile, del vino.
Lascio stare il commento telefonico già avvenuto, ricco di scoppiettanti annotazioni angeliche, che a me incompetente hanno socchiuso finestrelle e porticine, svelandomi un continente che andrebbe esplorato da penne e computer ben più strumentati di quelli miserrimi della sottoscritta.
Ma non posso non prendere atto che, a fronte dell’incapacità generale di dialogare in modo maturo e complesso su uno dei temi più inebrianti del mercato – il vino, appunto! -, Angelo Gaja si dimostra l’unico player in grado di comunicare, non solo con l’inevitabile competenza che gli viene dall’essere il protagonista più notevole, ma anche con l’occhio lungo e il cinismo intelligente indispensabili a chi da sempre arriva in groppa a un cavallo bianco.

Tanti leggeranno (altrove) il testo a cui mi riferisco, ma mi chiedo quanti – tra gli innumerevoli interessati – saranno in grado di rilanciargli la palla in modo adeguato. Le nostre vigne hanno bisogno di più cultura – quella vera che nasce dalla capacità di ognuno di noi di coltivare la propria storia -.
Sono forse troppo Gaja? Non so: da sempre l’intelligenza e la capacità di confronto mi affascinano, più di qualsiasi buona bottiglia.

16 pensieri su “La Gaja vendemmia

  1. …che bellezza,quest’uva!!!…mi vien voglia di vendemmiare!!!…quanti ricordi…Condivido il tuo pensiero,Silvana…ma al contempo mi chiedo da profana ,cosa è cambiato oggi, per “sentire” che le nostre vigne hanno bisogno di più cultura,come dici te…Certamente i tempi son più agguerriti e competitivi…Ma si è persa forse,anche la “sapienza” vera del saper fare quasi “istintivamente” in vigna?…E c’è bisogno di “compensare” in qualche modo?…non so se riesco a spiegare ciò che intendo…Quand’ero piccina, mio babbo mi portava con sè in visita dal tal fattore, che offriva del buon vino.Era buono e basta. Non doveva “essere”altro.Fatto come dio comanda. Un prodotto della terra fatto bene…Era VERO:.Non era necessario “compensarlo”con nulla…”Parlava” da sé ,del territorio…Forse eravamo più semplicioni…Non so… Oggi non ci basta più niente,..E siamo cosi’ smarriti,anche se “immersi”in ogni sorta di tecnologia ,da aver perso davvero il senso della nostra storia personale …un saluto

    • No, non si é persa la sapienza quasi istintiva di sapere fare in vigna, è che non è mai esistita. Ci sono manuali di viticoltura babilonesi, egiziani e quelli romani li abbiamo tutti tradotti al liceo. La viticoltura é una delle più antiche scienze dell’uomo, se è fatta bene può essere anche arte ma istinto mai. Il fattore che cita si era di certo diplomato alle Capezzine, illustre scuola di agricoltura fondata da Pietro Leopoldo, come tutti i suoi colleghi. E l’enologia si studia proprio per dare la migliore espressione del territorio, buona, onesta e che non fa male.

      • ..C’è una “sapienza” che non s’impara sui libri,Sig.Cinelli,che va oltre la Scienza della Viticoltura,rispettabilissima….Ma si ascolta,si “sente” non solo con le orecchie….ed è istinto….E fa la differenza in tante cose…No,il fattore di cui parlo non credo fosse diplomato. Aveva fatto tanta gavetta e “viveva” la vigna con tutto se stesso,e il suo sapere non era dovuto ai libri letti…Uomini d’altri tempi. Un saluto

  2. Vino e cultura nasce dalla terra da sempre vanno a braccetto.
    Metti una sera a cena un vinaio, un poeta, un pittore, un romanziere, un contadino, un regista, un sognatore e allo stesso tavolo avvocati, notai, farmacisti, agenti di borsa e commercialisti non sanno cosa dire e assistono allo scorrere della vita fuori dalla pelle di coccodrillo dei portafogli.

    • Eh sì, altro che “digital divide”, pesa (soprattutto, guarda caso, sull’economia) il “cultural divide”. E il Gaja Angelo ha – ai miei occhi – il merito di sottolineare certi valori in quel comunicato, che qui sopra io cito, ma non posto, in quanto non faccio un blog del vino, ma solo di micro cazzeggi campagnardi.
      Però, cito a memoria, il passo più saliente di quello scritto sottolinea, ai vari avvocati, commercialisti, agenti di borsa e (perché no?) portaborse vari, nonché al colto e all’inclita, che il vino avviene in vigna e in cantina, e non in fabbrica. Sembra una banalità, ma pensare alla produzione agricola (e quindi anche vitivinicola) usando gli stessi corridoi mentali prefabbricati utilizzati per pensare all’industria, può contribuire a una visione distorta nei confronti di un settore che – Monti pensiero a parte – è strategico per il nostro paese (turismo, made in italy, cultura, arte, paesaggio, qualità della salute e della vita) … avrei altro da aggiungere, ma ci rifacciamo!

      • Merito speciale, quello di Gaja, in quanto produttore grande, importante e, in assoluto (anche per merito del suo profilo culturale), il più rappresentativo del vino italiano!

  3. Si, sei davvero troppo gaja. Ricevo e leggo anch’io le lettere dell’amico Angelo ma, e gliel’ho detto tante volte, se invece di fare il commerciante di grandissimo lusso in giro per il mondo avesse fatto l’agricoltore certe cose non le direbbe. La penultima volta si è lamentato del sistema del commercio dei diritti di reimpianto, auspicando una “nuova” soluzione che in realtà é in vigore da trent’anni. Ora sostiene una teoria molto discutibile su eccedenze e opportunità, che lascia molto perplessi. È come quando ha sostenuto a spada tratta il taglio nel Brunello, poi nel Rosso di Montalcino passando per la DOC Montalcino per rosso, bianchi, spumanti nonché novelli; il guaio é che lui vive una bellissima realtà, di enorme prestigio (e guadagni), ma il mondo reale di tutti noialtri che non ci chiamiamo Gaja vive con regole diverse. Io vendo Brunello perché c’é una grande storia collettiva e altre centinaia di Brunellisti (anche) a livello di eccellenza che remano con me e fanno correre la barca, lui vende i suoi vini perché é Gaja; altra storia, altre esigenze, ma lui non lo vuole capire.

    • Sì, sono molto Gaja, ma non nel senso del Brunello: solo a sentir parlare di “tagli” al sangiovese mi rabbuio.
      Mi limito a ribadire invece che Gaja (che riesce a manifestarmisi come un uomo “della terra”, e non come un industriale tipo chessò Zonin, ma sarò cieca io?), Gaja, dicevo, è uno che riesce a comunicare con grande efficacia (e in modo colto); un po’ come succedeva con Luciano Benetton, anche lui molto vocato alla comunicazione (anche ante Toscani).

      • Ma cheri, ho conosciuto Gaja qui ai Barbi quando avevo i pantaloni corti, ma non mi é mai capitato di sentirlo parlare di qualcosa che avesse attinenza con la cultura. Eppure, come tu ben sai, a casa mia la cultura é di casa. Capace, ricco, famoso e molto intelligente non vuol dire necessariamente colto.

          • Sarà che cultura non vuol dire solo libri letti ma, come disse un tale più colto di me, siamo nani sulle spalle di giganti. Debbo tuttociò che sono a Occam, Locke, Giotto, Dvorak, Matisse e mille altri, se non li avessi studiati, vissuti, goduti e conosciuti in mille modi (non solo sui libri) non sarei io. Questa è cultura, poi c’è chi è molto intelligente e grandissimo affabulatore ma tutto questo non lo ha. E vive bene lo stesso, ma non mi si venga a dire che è un uomo di cultura.

        • In effetti, suo fratello (che ho conosciuto abbastanza) sa di terra, ma trovo Zonin maior – con grande rispetto per la persona e per il lavoro che fa – piuttosto ‘costruito, mentre Gaja – che non è esattamente un micione – mi appare davvero più sapiente di terre.

          • Gianni è un pò chiuso, peraltro come in genere sono le persone della terra, ma se dovessi far peritare un vigneto mi rivolgerei di certo a lui e mai a Gaja. Magari preferirei Angelo per valutare un’operazione di export o di marketing; lui è un affabulatore, ed è così certo di se che appare competente in ogni scibile.

  4. …Ben vengano i grandi comunicatori di “sostanza” e cultura…Ma di un “Luciano Benetton” ne farei a meno ,visto lo sfruttamento intensivo che ha operato in Argentina,con criteri davvero poco ecosostenibili,e l’appropriazione poco chiara di estesi terreni in Patagonia,aprendo un contenzioso con le popolazioni indigene…Certi imprenditori ,talvolta son talmente presi (..”imbriacati.”.) dal denaro e dal successo,e da se stessi,da dimenticare ogni regola ,in un delirio di onnipotenza molto distruttivo per gli altri,e per il territorio..( Report 7 giugno 2009 ) Un saluto

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