Cavoli Miei

Ho scoperto “le Colombaie”, un punto vendita senese di verdure cresciute in un grande orto omonimo, a Pian dei Mori, vicino a Sovicille. Tra una rapa e un porro ho trovato anche certi cavolfiori che mi piacciono moltissimo e ne ho acquistato uno. Mentre lo lavavo per cuocerlo (lessato poco, con poco sale e poi condito con olio e pepe), pensavo che questi cavoli – si chiamano cavolfiori romani? – mi piacciono prima di tutto esteticamente. Hanno un’aria orientaleggiante, un po’ stilizzata e quelle loro cuspidi paiono piccole pagode, e sono belle sode quando le metti in bocca; mi piacciono anche perché non acquisiscono mai quella patina un po’ viscida che ogni tanto prende i cavolfiori comuni (che pure sono molto gustosi).
Mentre lo mangiavo facevo una riflessione.
La vita in campagna, dove il controllo sociale è fortissimo, dove tutti sanno tutto (o presumono di saperlo), dove tutto viene letto e decrittato in chiave “bianco o nero”, “amico nemico”, eccetera, insegna a capire anche altri contesti e le conseguenti dinamiche.
Perché nessun luogo, come un luogo piccolo, ti fa capire quanto gli interessi di matrice diversa (ad esempio quelli pubblici, o quelli di lavoro, e quelli privati) sono spesso destinati a incrociarsi e mischiarsi tra loro; e come questo miscuglio sia poi ancora destinato a miscelarsi con sentimenti e pensieri; e quindi come il tutto, infine, dia luogo a comportamenti – magari un saluto particolarmente cordiale, o al contrario un saluto che improvvisamente diventa reticente – che non vengono capiti, soprattutto da chi è arrivato dalla città o da altri paesi lontani.
Curiosamente, la città, viene comunemente vissuta come “un luogo pericoloso”, mentre la campagna è gabellata come luogo idilliaco (e lo è, quando non attraversi sentimenti e interessi ignoti).
Chissà se l’espressione “sono cavoli miei“, invece che essere lo pseudo addolcimento di quell’altra più brutale e diretta, non dipende invece dal fatto che dalla campagna vengono i cavoli, appunto. E alcuni cavoli, magari un po’ diversi dai soliti, sono proprio i cavoli miei!

4 pensieri su “Cavoli Miei

  1. …oggi io invece mi son goduta una bella camminata nel bosco in compagnia della mia capretta nana tibetana e poi – nel pomeriggio primaverile, anche troppo (25 gradi) – ho iniziato a potare i peri…ed i cavoli miei, interconnessi con quelli globali, hanno assunto totanbòt una relatività molto orientale, quasi come la forma del cavolo tuo…

    • E’ necessario, ormai, diventare un po’ ‘orientali’, acquisire da quei modi di pensare qualche tratto che ci può aiutare a capire (se non ad agire). Verso est, il mondo è ruotato, in modo significativo. Ma, come sempre accade, quando ci accorgiamo di un fenomeno, di solito, questo ha già consumato un bel po’ della sua portata.
      Guarda caso, ho letto da qualche parte dell’impennata del pil africano (con tutte le riserve sui significati qualitativi di questo dato!).
      Ricordo anche che è ben più di un decennio che la Cina sta ‘lavorando’ in Africa…
      Insomma, quelli erano luoghi (prima ancora che paesi) “esotici”.
      Ora siamo noi che cominciamo a divenire esotici.

    • Esattamente il contrario di quello che Dario Diaz mi diceva, quando piantavo alberi a Fonterenza, sostenendo che fare figli e piantare alberi erano due attività simili, che non lo convincevano, proprio in quel senso lì (ora invece è felicemente nonno: quanto tempo è passato, da quegli alberi piantati con lui che mi guardava scettico!).
      Io invece penso di frequente ad altri che hanno piantato gli alberi sotto cui siedo…in particolare – sempre a Fonterenza – ci sono due noci che arricchiscono il podere con ombra, frutti buonissimi e un bel decoro che si compenetra con le pietre del podere. Li ha piantati Evia, una donna vhe vive a Sant’Angelo in Colle, che mi ha raccontato di aver trovato le piantine vicino al fiume (l’Orcia?).

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