Colpo di sole al parcheggio

Ogni giorno passava per il parcheggio appena finito; lo faceva per guardare l’erba che cresceva ogni giorno più alta e ben messa. Sorrideva, quando osservava tra sé che avevano incurvato il percorso pedonale, passando a fianco del grande albero che all’inizio dei lavori aveva temuto tagliassero. Invece no, anzi, nello spazio inerbito che circondava e interrompeva piacevolmente i posti auto, avevano piantato altri alberi che crescendo si poteva immaginare che avrebbero formato quasi un piccolo bosco senza soluzione di continuità con il verde che già circondava il parcheggio. “In Italia non si sarebbero manco sognati di avere uno sguardo paesaggistico per un parcheggio che non è nemmeno a pagamento; chissà come funziona qui”. Perché c’era anche un banano, recuperato dall’assalto dei rovi che bordavano il fosso che scorreva lì, accanto al parcheggio. E sempre sul bordo di quella che le sembrava un’installazione, più che un’opera di urbanizzazione, c’erano un bel po’ di grandi alberi che parevano conversare tra di loro commentando le nuove piantumazioni e sbirciando la quantità di spazio messo a prato che separava le auto dalla strada che scorreva sopra e dalle costruzioni alberghiere, poco sotto. Il parcheggio era stato pianificato per ospitare settantasei auto, ma l’area che gli era stata dedicata poteva tranquillamente contenerne il doppio. Tornava ancora quella considerazione, tra il modo “all’italiana”, che davvero non reggeva il paragone con questa realizzazione. E’ la differenza tra un paese che si vuole bene, e uno, come l’Italia, che ha perso la voglia di essere, dimentico di sé stesso e della propria bellezza – pensava -.

Il parcheggio non sarà a pagamento, forse per questo si erano concessi il lusso di tutte quelle piante salvate e recuperate, dell’inerbimento, l’aggiunta di altri alberi e dei cespugli che sarebbero cresciuti. Nel crepuscolo che avanzava si riusciva già a immaginare una prossima stagione in cui i segni dei lavori recenti e delle nuove piantumazioni si sarebbero stemperati con il folto di alberi lì accanto. Non poteva far a meno di pensare che (in Italia) non pretendere un ritorno monetizzato velocemente, disponendo di un’area a duecento metri da una delle spiagge più frequentate dai surfisti e dal turismo internazionale, sarebbe stato giudicato demenziale, come se i progettisti e i loro committenti fossero colti da un colpo di sole collettivo.

 

Erasmo e la terra

http://www.politx.it/erasmus-per-giovani-agricoltori/

– Così non si dirà più “braccia rubate all’agricoltura”, con l’implicito apprezzamento negativo per chi lavora la terra -. E’ quello che ho pensato quando ho letto questa notizia; un po’ mi sono compiaciuta (finalmente si guarda alla terra come una risorsa strategica per il futuro), un po’ però mi sono preoccupata, immaginando che ai nostri governanti – e a quelli UE che metto esattamente sullo stesso piano! – possa essere venuta quest’idea solo perché non sanno più “quali pesci pigliare”.

Intanto mi fugge (dal sen) una constatazione sui modi di dire che ovviamente (ma non ci si pensa che di rado) mutano con il cambiamento epocale che si vive – di questi tempi in modo così appariscente – . E a proposito di questa appariscenza, non trovate che l’Oriente, che è entrato nelle nostre vite spesso in modo drammatico, stia acquisendo un peso culturale notevole, peso e rilevanza che ha avuto – anche in modo equivoco – negli anni passati, solo presso delle minoranze che erano espressione di un ‘dissenso’ nei confronti della politica, del costume e della cultura occidentali. Se penso alla Turchia nella UE, per esempio, mi viene in mente l’arresto dei giornalisti dissenzienti rispetto a Erdogan, e non mi piace; se vado decisamente a est, è di ieri la tragedia di Peshawar con un massacro di giovanissimi, immolati da un Islam che mostra sempre di più un volto orrido (più che pensieri di pace e di tolleranza che di rado fanno capolino nei comportamenti e nelle dichiarazioni islamici).

Dunque l’Islam che ho letto da bambina nel meraviglioso “12 Maghi per 12 fiabe”, il libro che ha formato in mio immaginario, non è uno smalto verde e turchese – come mi è apparso nelle mie divagazioni infantili – ma è questo orrendo impasto di misoginia, di invidia maschilista, di negazione della vita, di ignoranza assassina, che le recenti cronache mi hanno consegnato?

Questa infilata di pensieri, non proprio sereni e ottimisti, mi scorre in testa come una clip, pensando con scetticismo alla proposta – non ho capito bene da chi provenga – di questo Erasmus ‘contadino’ per i nostri giovani; un po’ come l’ufficializzazione dei WWOOF, per il mondo del Biologico (da Organic, che è poi la seconda delle due “o” della sigla.

L’unica concessione a un pensiero più benevolo è l’idea che magari i signori della UE si sono ricordati della promessa che ci hanno fatto, nel dicembre del 1996, con la dichiarazione rilasciata dai rappresentanti europei a Cork. La dichiarazione di Cork, appunto, che vi invito ad andare a leggere (è on line) e che è stata largamente disattesa. Divagazioni.

 

 

Poveri ma Brutti

Per il mio diciottesimo compleanno mio padre mi spedì da New York, Observations,  il libro del fotografo Avedon con i testi di Truman Capote, appena pubblicato da Simon&Schuster; se ci ripenso, non posso che provare un’onda affettuosa verso quel mio genitore sempre lontano per lavoro e anche così lontano da quel mondo (design, moda, grafica, fotografia), ma così capace di essere vicino ai miei desideri e attento ai miei interessi di ragazza, da riuscire a scegliere per me il libro che divenne la cifra di quegli anni – raffinatezza e toni alti, con una grafica asciutta e impeccabile – dopo il lungo dopoguerra buio.

Se si sfoglia Observations, si incontrano i ritratti dei personaggi che formavano il paesaggio internazionale di allora – si va da una Karen Blixen vecchissima a BB trasfigurata da una nuvola di capelli – e si incontra anche un bellissimo ritratto di Marella Agnelli, che a me – allora – ricordò un busto del Laurana, tanto emanava eleganza e compattezza. Pensando alla data in cui fu scattata la foto non si può non pensare che l’eleganza sublime che emana da quel ritratto contrasta fortissimamente con l’Italia di quel tempo.

Infatti Avedon, nello stesso libro, dedica alcune pagine anche a scatti italiani, che ritraggono passanti e bambini contemporanei alla galleria di ritratti di personaggi importanti che sono il tema principale: è come se il fotografo avesse voluto fare un parallelo tra due mondi: quello dell’intellighenzia, dei personaggi internazionali, di alcuni uomini politici, e un paesaggio umano che probabilmente l’aveva colpito e emozionato, nelle vie delle città italiane.

La grande povertà del nostro paese in quegli anni ci arriva senza veli, in tutta la sua acutezza, come un grido dei bambini che ricordo in una delle immagini. Ma assieme a essa, vorrei quasi dire “dentro”, si sente la bellezza, il senso della bellezza italiana – quasi un audio, una musica – che dà ai miseri vestiti indossati da quelli che compaiono nelle foto di quelle pagine italiane già uno stile, come se fossero quelli dei personaggi di un film. Non di un film, si tratta, ma si sente che dentro c’è una storia, una poetica un mondo intero.

Queste sensazioni, anche queste, mi hanno accompagnato per anni; sono certa che il profilo immaginario del pianeta Italia sia stato nutrito, dal dopoguerra fino a vent’anni fa, forse trenta, con il racconto di come eravamo, mentre insolveva – nello stesso immaginario – il report di come stavamo diventando: la quinta potenza, la sesta forse – non so -, mondiale, con una crescita e una diffusione del benessere (sempre un po’ a macchia di leopardo) tale da farci dimenticare le acute asimmetrie di tale crescita, i buchi, le ingiustizie, le smagliature, le irregolarità, le illegalità, e poi i furti e le ruberie, le appropriazioni, i contrabbandi, le furbate, le evasioni, che hanno dilapidato la fortuna del (ex) Belpaese, esportandola nei fortini internazionali dei (relativamente) pochi ladroni – spesso con cognomi di spicco – a svantaggio dei molti fessi che si sono lasciati rubare lavoro e dignità da una banda internazionalizzata.

Ma ci resta l’ancora Belpaese, di cui si stanno sgretolando parti, tra terremoti, diluvi e frane, da un lato, svendite e cessioni, dall’altro. Quello che bisogna impedire, a qualsiasi costo è l’ulteriore avvilimento di paesaggi, beni storici e culturali, prodotti agricoli tipici, idee e cultura. La maggior parte dei cittadini l’ha capito: noi che viviamo in campagna – in una campagna molto bella e rinomata – lo sappiamo e lo tocchiamo con mano tutti i giorni. Non basta saperlo, però: bisogna parlarne; bisogna farlo sapere e capire a chi amministra e governa. Non vogliamo essere poveri e diventare anche brutti!