Il tempo del vino in uno Schluck

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Quando penso all’Europa, la mia immaginazione ha sempre visualizzato un ideale ‘insieme’ di paesaggi, genti, prodotti, cultura che vengono da lontano e che vivono nella modernità. Una modernità privilegiata da una ricchezza culturale che la protegge dalle banalizzazioni e dagli appiattimenti del falso mito della globalizzazione, e che le dona invece un cosmopolitismo naturale e consapevole: qualcosa di lieve e persistente, come i profumi della vendemmia, che aleggiano da queste parti, in queste settimane.

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Un’Europa fatta di gente che conosce la storia di ciò che produce, e che è consapevole (ma in modo … naturale) dell’effetto che fa, produrlo, e in giro per il mondo.

Questi pensieri, mentre pranzavo con Paul Truszkowski e Julia Klueber – domenica, nel sole, a Sant’Angelo in Colle – mi ronzavano in testa, tra un antipasto vegetariano e un tortello all’olio e salvia (“I like butter” mi dice Paul, ma l’ho convinto a provarli con l’extravergine e il parmigiano, alla mia maniera) e, ovviamente, una bottiglia scelta – quella sì – da Paul.

Quando hanno appoggiato sul tavolo la loro creatura di carta (per vedere l’effetto che fa), ho avuto un doppio soprassalto. Doppio: uno che riguarda l’Italia che (troppo poco) legge e l’altro legato ai vissuti del vino tra la (maggior parte della) gente del vino.

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Ah se tutti gli uomini (e le donne: ma le donne son meglio) che fanno quel meraviglioso prodotto si strofinassero gli occhi e bevessero qualche libro …, ah se tutti quelli che qui (e là) incontro, sposassero la consapevolezza … allora sarebbe davvero vero quello che ieri un nostro noto uomo politico ha detto (“possiamo essere un grande paese”, o qualcosa del genere, nonostante le virgolette).

“SCHLUCK”: un’onomatopeia per dire ‘inghiottire in un sorso’. Da adottare immediatamente, una parola che nella mia bellissima lingua non esiste, ma in Europa sì. Da sfogliare, per ricordare che siamo europei (se scegliamo di esserlo), solo se lo sentiamo e se capiamo di che cosa siamo fatti. Da leggere – personalmente con fatica: in tedesco – e da guardare, per ricordare la grafica che non è decorazione ma una scelta per dare significato. Da guardare per tirar fuori – a costo di andare a ripetizione – quello di cui i grandi vini hanno bisogno: non degustazioni, ma sentimenti, tutte quelle vibrazioni che sanno evocare, a cominciare dall’erotismo (ho scritto ‘erotismo’ e non altro), cioè qualcosa di completamente sconosciuto se si sta solo e sempre seduti davanti alla tv …

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Poi mi sono chiesta che fortuna avrebbe in Italia un semestrale raffinato ma leggibile e fruibile, in un pubblico che legge scarsamente; poi mi sono ricordata di qualcosa che la gente del vino forse ignora o sottovaluta e cioè che libri e vino, da sempre vanno insieme (leggere i monitor psicografici, please), che un bicchiere sta bene con un libro e che raramente è un bicchier d’acqua. Poi mi sono domandata se in questi tempi difficili ha ancora senso avere questi pensieri e mi sono risposta di sì, confortata nientedimeno che dal presidente della Repubblica che, silenzioso com’è, quando apre bocca ricorda che la cultura è un ponte su cui cammina il mondo verso il futuro (e non è una banalità, gentili signori!). Poi ho pensato che tutti questi pensieri vanno condivisi, perché i profumi che aleggiano nel tempo della vendemmia non possono solo tradursi in “degustazioni”, ma devono tradursi in emozioni: altrimenti avranno vita breve e prezzi bassi.

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E io so bene che per decifrare le emozioni, capirle, viverle e comunicarle servono strumenti culturali: senza di quelli il vino – anche il più grande – vale meno, molto meno.

Tutto questo ho capito in uno schluck.

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