Voce Amica

DSCN7808La parola resilienza mi fa tornare in mente l’immagine della farina sulla spianata da impasto, e la mezza tazza di acqua tiepida e leggermente salata che viene versata nel centro di quel vulcano bianco che dovrebbe trattenerla per impastarsi e diventare tagliatelle; e l’acqua pare si ingegni per uscire, dividendosi in mille rivoli, da quella prigione bianca. Poi penso agli alberi quando si protendono tenacemente alla ricerca della luce, quando questa è bloccata da una parte. L’epilogo sarà diverso, perché l’acqua sull’asse per fare la pasta dei miei ricordi infantili non sfuggirà al suo destino alimentare, e invece un albero che tende tutto sé stesso, (a costo di “cambiare idea” o portamento), per sopravvivere o per crescere meglio, ce la farà.

Imitare la resilienza degli alberi? Non so, ma certo per cambiare e fare in modo che il cambiamento sia un’evoluzione (qualcosa di costruttivo e di vitalizzante) richiede lo sforzo di imparare l’attitudine di quell’ albero alla ricerca di luce, o forse anche di prepararsi a fare “la fine” dell’acqua che diventerà tagliatelle (cioè qualcos’altro). Il senso della resilienza, almeno per me, è quello che ci capita di sentire in certi momenti in apparenza insormontabili quando si è chiamati ad affrontare e risolvere difficoltà e amarezza (che ogni tanto la vita ci propone) senza consegnarsi alla rassegnazione e al comodo pessimismo, ma cercando alternative, con attitudine positiva. Evitando magari di fare la fine dell’acqua e cercando di comportarsi come un albero che insegue la luce bloccata da un lato, volgendosi da un’altra parte.

Per questo concordavo con la voce amica che stamane mi rivelava di trovare ‘ispirazione’ (e forse anche ‘consolazione’?) in un quartetto di Franz Schubert che aveva ascoltato al risveglio e che gli aveva regalato, aprendo gli occhi, la forza di affrontare un lavoro impegnativo, in una giornata più difficile delle altre.

Amo molto Mendelssohn che ascolto spesso, ma la musica di Schubert è capace di farci andare alla ricerca della luce, e vedere da che parte arriva, come fanno DSCN7808gli alberi – creature solo apparentemente immobili.

Nel Prato Estivo

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C’è il calamo aromatico, e c’è il cardo santo, ci sono altea galega dragoncello e fumaria, e poi anche melissa e passiflora e santoreggia montana … Me li ritrovo nel piatto, nei tajarin di Mauro Musso, cucinati da Francesca, che li ha conditi con asparagi e fagiolini e qualche grano di un sale misterioso che insieme a un peperoncino abbastanza misurato (giapponese), coronano questa pasta – piatto unico per una quasi vegetariana come me – che accompagna un volante assaggio del Rosso delle mie figliole, appena imbottigliato e versato con orgoglio da Francesca che mi ha invitato a casa sua.

Per andare a trovarla ho fatto la strada bianca che porta a Sant’Antimo; per me è come andare al cinema, e il film è un pezzo della mia vita, di quando i miei tre figli piccoli venivano con me – sballottati in auto, da soli o con amici piccoli e grandi – e dividevano con me il paesaggio che ci scorreva accanto. Conosco a memoria vigneti e olivete, e anche gli alberi che bordano questa strada; ho mangiato questa polvere le numerose volte che l’ho fatta a piedi, per vedere meglio e per trapuntare con i passi e gli odori delle piante lo scenario che si attraversa, andando verso la vecchia Abbazia …

La sensazione di vuoto che provo ogni tanto, quando sento che tutto cambia e non tutto sarà come pensavo (pensavo?), ogni volta si colma con un guizzo di resilienza – modo o sostanza o energia, di cui abbondo e non so se esserne lieta -; quest’oggi i tajarin di Musso Mauro (se ne sconsiglia il consumo in gravidanza) sono la mia botta di resilienza-DSCN6794