Un mattino d’inverno a Montalcino

DSCN2415Succede che dopo aver passato anni a organizzare incontri tra gente che deve dirsi cose che già sa ma che bisogna mettere in sintonia, oppure cene per accordarsi su fatti riservati che però stanno scritti su certi giornali più giusti di altri, poi un mattino d’inverno a Montalcino mi trovo a percorrere, in auto per essere puntuale, una bella strada che la folla dei partecipanti a Benvenuto Brunello forse non conoscerà mai e il paesaggio la cui bellezza rischia di farmi deragliare fuori strada è, ancora una volta, il compagno di una giornata a Montalcino.

Vado a un incontro organizzato da un signore del vino – “il” signore del vino – il cui nome conosco fin dall’infanzia, quando mio padre – che andava in Piemonte per il vino di casa ed era un appassionato di Barbaresco – mi parlava di quel vino e di quella famiglia.
Guido su questa strada sterrata e tortuosa, ricca di asperità irregolari, che ho percorso infinite volte a piedi godendomi ogni passo, con gli occhi aperti e il respiro profondo di chi – come me – ama (e rimpiange un po’) la città e le sue promesse ma ha scelto la campagna e la vicinanza alla terra quasi come un esilio, ma benefico, una voglia di sbucciarsi l’anima e guardare alla base delle cose, per riprendersi una vita più naturale.

Succede che “una vita più naturale” oggi è in realtà una scelta abbastanza complessa, che comporta pensieri che mettono in risalto continuo contraddizioni e incongruenze: le proprie  e quelle della scelta che si è fatta. Me lo dico mentre guardo la piccola colonna di auto che vedo nel retrovisore, dietro a me, a distanza abbastanza ravvicinata. Mi fermo nell’attraversare le Case Basse perché c’è Gianfranco Soldera in tenuta da vigna – perciò elegantissimo (toni violacei in delicato controcanto con quelli austeri del suo grande vino) – ma non posso indugiare, non per il tempo a disposizione: sono in anticipo, come tutti quelli che seguono, ma appunto per non essere scortese con loro. Mi limito a un saluto, però affettuoso – un saluto che viene da lontano, quando cenavamo al Pozzo, a tavoli diversi e ci conoscevamo appena, entrambi venuto da nord e innamorati di questa campagna – un po’ dispiaciuta di non poter scambiare con lui qualche parola sul tempo (finalmente freddo: è persino nevicato un po’, ma poco gelido).

Scoprirò che i miei pensieri sulle scelte di vita non sono così estranei al piccolo gruppo eterogeneo di convenuti, tutti straordinariamente colloquianti – puntuali e attenti e compresi del futuro di questi luoghi preziosi. “Prezioso” è forse un aggettivo che non ho usato mai per Montalcino, ma la sua campagna, ancora ricca di angoli non piegati alle logiche produttive – a mio modo di vedere spesso troppo indifferenti alla bellezza -, né all’estetica dell’accoglienza che ci si immagina vogliosa di una Toscana mai esistita se non al cinema, oggi lo chiede. Sull’aggettivo “prezioso” Piero Chiara avrebbe avuto da ridire, quando mi somministrava preziosi (appunto!) consigli di scrittura … Piero Chiara, sì, ma in altri tempi, quando il mondo non era ancora abitato da sette miliardi di uomini e ‘viaggiato’ da oltre un miliardo di turisti in perenne movimento.

Ho avuto nostalgia – una volta di più – di Giampaolo Fabris e delle sue (pre)visioni così esatte e puntuali, per tutta la durata delle riflessioni – spesso lucide, sagaci e puntuali – ascoltate per tutta questa mattinata inedita da queste parti; perché i temi affrontati – accoglienza, ma anche ristorazione – giustamente anche con l’occhio e l’esperienza di chi lavora quotidianamente e conosce regole, difficoltà, problemi, complicazioni e prospettive, avrebbero bisogno dello sguardo esperto di un monitor che racconti dove sta girando il mondo – dove va e perché ci va – come e perché cambiano i gusti.

Ancora una volta mi sono tornati in mente gli anni brevi in cui ho visto scegliere, dalla politica, ricerche di mercato fasulle e compiacenti. Qui no: c’è la consapevolezza di uomini  – molti venuti da altrove – di parlare di un luogo “prezioso” (scusa Piero!), che prima ancora di generare profitto, è entrato nel cuore di alcuni, magari mentre guardavano oltre la collina prospiciente, verso il bosco, sopra la vigna spolta, pensando a come era bello quel paesaggio. Una mia (pia) illusione? Non so, non credo. Certo non è mai stata nominata, nemmeno evocata, nemmeno lontanamente. Ma mi pare di avere ascoltato – nelle parole di molti – un fruscio di consapevolezza inedita, il suono di una protagonista innominata, la bellezza, che mormorava al cuore degli ospiti della Pieve di Santa Restituta.

Entomologia

Quando parli con un abitante del piccolo paese e questi ti racconta dettagliatamente i guai di qualcun’altro (ti accorgi che gli si illuminano gli occhi!) sarai certo che a qualcun’altro racconterà di te, del tuo sguardo, delle eventuali angosce o dei problemi che ti sarai magari lasciato sfuggire. Se hai sempre abitato luoghi più movimentati di un piccolo paese (in cui se fosse possibile sarebbe criticata anche la frequenza con cui fai la pipì), ti sarai stupito intuendo quanto “gli altri” siano il principale – o addirittura l’unico – argomento di conversazione … Chiacchiere non sempre innocenti che circolano sulle persone  – situazione famigliare, corna, salute, molestie, banca (i soldi degli altri interessano moltissimo!) – sono all’ordine del giorno, ma c’è sempre un tocco speciale, ed è il sorprendente piacere che pare suscitare l’eventuale altrui disgrazia, soprattutto se i problemi ce li ha qualcuno che aveva l’aria di vivere una vita diciamo così abbastanza spensierata.

Dev’essere un morbo tutt’altro che raro nell’universo mondo (paesano), se in tedesco c’è addirittura una parola composta per dirlo – Schadenfreude (gioia maligna, o delle altrui disgrazie) -; una variante un po’ più sofisticata è quella che prevede la descrizione delle fortune davvero immense e sfacciate di qualcuno/a che si suppone tu abbia in uggia, o che si presume ti stia antipatico/a, ovviamente per farti torcere dalla rabbia, e fare in modo che tu lasci trasparire i tuoi sentimenti per poi riferire ad altri.

Se invece esprimi dispiacere, quando ti raccontano i guai di qualcuno, allora ci si affretta ad aggiustare il tiro e aggrottare la fronte, con aria di partecipazione. Può risultare difficile capire dove finisce la chiacchiera, magari boccaccesca, ma innocua, e dove inizia quello che diviene tradimento della privacy, anche se è facile capirlo per ciò che riguarda la riservatezza “assoluta” a cui sono tenuti, per esempio, gli addetti di una banca, o quelli delle istituzioni.

Difficile convivere con le chiacchiere, in un piccolo centro; difficile non provare malessere e un senso di impotenza, ma anche di paura. Prima di tutto la paura di diventare così – è più facile di quanto si possa immaginare, riflettevo – e lasciarsi trascinare in un gorgo un po’ melmoso… Un buon antidoto è la lettura, perchè ci sono molti autori – Piero Chiara è uno degli esempi più importanti – che dalle chiacchiere paesane, dalle avventure e disavventure di famiglie, parroci, notai, massoni, medici, ostetriche, eccetera hanno tratto racconti (romanzi) appassionanti e anche molto divertenti. Chi non legge – recitava in uno spot pubblicitario Luciano De Crescenzo – resta come il cavallo … A me pare che chi non legge si perda un bel pezzo di vita e l’occasione per recuperare un po’ di uso di mondo e imparare a dire ciò che si pensa liberamente.