Anche se ormai è superato il criterio di ‘misurare’ il prossimo usando come parametro l’auto (“ce l’ho grossa quindi sono”), e i più furbi si sono accorti che c’è pure qualche potente che va a piedi (magari per ragioni di fitness), io continuo a usare quel parametro, ma secondo un altro criterio rispetto alle dimensioni (e cilindrata) del mezzo. Perché non sempre “auto grossa uguale a cervello piccolo”: talvolta anche “auto piccola uguale a minus Habens”!
Ho notato infatti (ma lo confermano i sociologi) che i nostri comportamenti inerenti l’uso dell’auto parlano di noi, non solo dando conto del nostro livello di civiltà (o del nostro grado di educazione), ma sono anche testimoni dello stato evolutivo della nostra psiche in modo eloquente e inequivocabile. Intanto (come diceva un mio vecchio e stimato AD, Sergio Polillo, il cui eloquio nasale, ai tempi era famoso, “ha visto signora che gli italiani se non hanno l’auto a portata di mano diventano terribilmente irrequieti!?”) quanto riescono a stare distanti dal proprio mezzo di locomozione; qui in paese il fenomeno assume dimensioni quasi patetiche, c’è chi non si fa scrupolo di parcheggiare sull’uscio del vicino (magari contando sull’assenza cronica di costui) pur di sapere che l’adorato mezzo è lì: allungando un po’ il collo lo puoi vedere e puoi osservare (magari non visto) se qualcuno – non dico gli fa un graffio – lo sfiora. Manco fosse una moglie la cui virtù rischi di essere offuscata da una ‘mano morta’ estranea. Poi c’è chi (è estate e fa caldo o almeno dovrebbe) tiene il motore acceso mentre va a farsi un po’ di spesa, oppure quando telefona da fermo (vuoi mettere telefonare al fresco quanto ti rinfresca le idee?).
Poi ci sono gli estremisti del parcheggio: non c’è prato, non c’è ingresso di ristorante, non c’è prossemica alcuna che argini i loro sentimenti: si ferma il mezzo in modo da poter aprire la portiera e poi con mezza rotazione del busto (da seduti) si buttan fuori le gambe e con due passi due (tre al massimo) sei nel luogo dove vuoi recarti: e fa niente se la tua auto diventa una specie di diga metallica che impedisce a tutto il resto del mondo di passare di lì (“gli altri chi?”).
Ma abitando in un paesetto piccino e carino, con un centro storico il cui diametro è di cinquanta metri circa, servito da un parcheggio sufficiente, situato però a ben venti metri dalla ‘cinta muraria’, nell’ora che volge al pranzo (o alla cena) se ne vedono davvero delle belle. A quell’ora capisci che a un certo punto il processo evolutivo che si dice abbia coinvolto il genere umano, distinguendolo dalla bestialità (che stento sempre di più ad attribuire agli animali) si è bloccato (o si è invertito di colpo) nel momento in cui l’automobile è diventato un mezzo di locomozione diffuso e comune; e non c’è ‘livello’ né ‘ceto’, e nemmeno ‘carica’ sociale che esima l’animale alla guida da comportamenti bestiali, con mille sfumature – dall’incivile semplice all’incivile con tendenza al criminale, con in mezzo un bel po’ di tamarri e di “lei non sa chi sono io” sottaciuti e sottintesi (sovente è un ‘chi credo io di essere’). Perciò trovi la bbestia che parcheggia nell’unico posto riservato ai portatori di handicap (incurante delle cautele apotropaiche, che lo sconsigliano vivamente) e in cinque balzi cinque fa il suo ingresso in uno dei due (ottimi!) ristoranti a portata di … portatore di handicap (ebbene sì, lo fanno pure i danesi e i “top” manager). Oppure c’è l’auto simil – bara, grande quanto una casa, parcheggiata addosso a una casetta più piccina di lei. O anche una ex-leggiadra piazzetta imbottita di auto, trasformando la suddetta piazza – paesaggio incluso – in un raviolo al gasolio. Per non parlare di coloro che ficcano l’auto possibilmente monumentale (testimonianza esclusiva di un’idea di sé) nel parcheggio a rastrello contando sull’assenza (magari un malore?) del vicino di parcheggio a cui tolgono lo spazio d’accesso. Ma l’antologia potrebbe continuare …
I parenti più stretti ancora viventi di Homo sapiens sono le due specie appartenenti al genere Pan, comunemente noti come scimpanzé: il bonobo (Pan paniscus) e lo scimpanzé comune (Pan troglodytes). Le due specie sono ugualmente vicine, ovvero condividono lo stesso antenato comune; la differenza principale tra essi è l’organizzazione sociale: matriarcale per il bonobo e patriarcale per lo scimpanzé. Il tratto che accomuna le due specie è il modo di parcheggiare particolarmente bestiale.