L’uomo che sapeva

DSCN8892

Tutto si stempera nel ritmo implacabile del mondo vegetale. E nessun verbo è così male assortito, quanto il “vegetare” attribuito alle esistenze perse al pensiero, alla volontà, alla propria evoluzione. Persino quando agonizza e poi muore (muore?), il mondo verde mi pare determinato ai suoi scopi, al disegno che coltiva e persegue.

Tutto si stempera guardando questo autunno che sfolgora e attenua. Anche i necrologi che annunciano la partenza per il dove misterioso di conoscenti, compagni di scuola e di avventure, ex-fidanzati o sodali in imprese più o meno utopistiche, o anche persone appena sfiorate ma stimate e ammirate, oppure colleghi e capi con cui ho condiviso brani di una vita che a tratti mi pare inventata durante un dormiveglia un po’ ebbro – in preda a sinestesie – non fosse che mi rimangono ricordi non solo virtuali, né solo memorie di una signora svagata e in disarmo.

Così non è stato immediato il soprassalto di dispiacere e poi di rammarico acuto, quando leggendo quasi in automatico le colonne dei necrologi, il nome di Pino Buongiorno se ne è uscito galleggiando a mezz’aria. E mi è tornata in mente una delle ultime volte in cui l’ho incontrato e parlandogli per mezz’ora, gli ho raccontato una storia che già mi sembrava inverosimile, eppure era accaduta, e il suo sguardo si faceva sempre più attento annodando il mio racconto a fatti concreti e inseriti in uno scenario di cui conosceva contorni e implicazioni. E non ho mai scordato il suo commento lapidario che mi fece capire quanto il mondo in cui viviamo può essere pericoloso, nella sua quotidianità.

Poi la natura prende il sopravvento e le nostre vite, ogni tanto, mi appaiono marginali rispetto ai progetti del mondo vegetale; mentre l’autunno si esibisce con chiaroscuri e sfumature, lasciandoci intendere che sorprese e cambiamenti potrebbero essere anche notevoli, il ricordo di PB si mescola a quello di giorni che stanno diventando un’epoca e a luoghi che appartengono a un racconto da riservare a quelli che vogliono capire. Perché ricordare e basta, non serve a nessuno.

Da Nada, tortelli e paesaggi che valgono più assaggi

Ha fatto tutto il caso, che non fa mai niente in modo casuale. Due donne – madre e figlia – che mi ritrovano dopo vent’anni; le relative storie che si intrecciano; la ricerca di un luogo dove sedersi per un pranzo in cui rieditare momenti tristi e ricordi felici, per rileggerli sorridendo; la Maremma e la sua luce; un’albergatrice che prenota “Da Nada” (Pensione-Trattoria-Bar-Gelateria, con terrazza panoramica), a Roccatederighi.

Questa è l’Italia non alla portata di tutti, rara, ho pensato entrando, cogliendo la luce e annusando l’ambiente: la luce è la prima cosa e nonostante sia ottobre inoltrato è avvolgente e speciale, come sotto i platani il quattordici luglio nel sud della Francia; come nell’entroterra della Liguria di ponente, d’estate quando c’era meno cemento; come appena a sud di Roma a febbraio, quando solo lì è primavera inoltrata; come sull’alzaia di un Naviglio, col sole che indora tutto emergendo dall’acqua, dove si è appena tuffato.

Poi, più che parlare o scrivere, bisogna andare e assaggiare, perché non sono Tripadvisor e nemmeno recensisco per mestiere, ma io non vivo più in città da un po’ di anni e sto in un luogo sopraffino, dove paesaggi e vini giocano a ping pong e la cucina ragguardevole non manca: so riconoscerli.

Ma quanto mi colpisce qui la luce, e l’aria che tira in questo piccolo (ma non angusto) luogo che pare l’estensione della sala da pranzo un po’ vecchiotta di una famiglia perbene. E come brillano di luce vera gli occhi dei componenti la famiglia – burbero il babbo e assai pragmatico -: Nada la si scopre alla fine, quando tutti gli altri clienti sono usciti e lei si siede a consolarsi delle fatiche di cucina (ma la sfoglia l’ha tirata con la nuora), becchettando una fetta di crostata (la sua crostata) dividendola con il marito.

Il menu è maremmano e un po’ di piatti sono già finiti; ma i tortelli ci sono e pure una pasta con le verdure che la figlia della mia amica ritrovata (dopo vent’anni) festeggia come fosse domenica (ed è domenica, infatti!). E la camerierina pallida ma suadente,  vuole rimpinzarci, ma vuole anche vederci soddisfatte.

Le foto non renderanno l’idea, ma l’idea mi è rimasta dentro e so che se voglio ritrovare quella luce speciale di quell’Italia  che i mostri del reame stanno spegnendo, torno da Nada e,DSCN1927DSCN1916DSCN1922DSCN1914DSCN1926 se piove o fa scuro, guardo negli occhi questa gente che cucina e accoglie, non a caso, come a casa.