Largo ai polli

DSCN9792Come si è “vecchi” nell’immaginario della gente? Me lo chiedevo stamattina, dopo un caffè al bar in piazza, in questo paesello in cui i vecchi abbondano e sono parecchio variegati, ma l’accezione in cui viene letta la vecchiaia li uniforma (di ogni erba un fascio!), li accomuna in un unico vissuto, accantonandoli come persone che devono stare in disparte.

Me lo sono chiesta, un po’ sorpresa dal ‘giovane’ Marcello a cui ho raccontato che metterò il ritratto dei suoi genitori, che ho disegnato (e mi pare anche piuttosto bello) forse un paio d’anni fa, in un certo libro sul Brunello – ma con un taglio molto particolare (perché io di vino in quanto tale so davvero poco!) – a cui sto lavorando e sulle prime mi è anche sembrato contento, ma poi ha soggiunto, lasciandomi indignata, ma quante cose fai?, devi stare un po’ calma, ne vuoi far troppe …

Confesso sono rimasta sconcertata, sulle prime, poi però ho pensato che il Marcello in questione – essendo ancora giovane e non avendo vissuto che poco della vita che potrà vivere e in cui potrà spaziare – non ha la benché minima idea di quante cose si possano fare, quante idee mettere in campo, quanto lavoro, quanti pensieri sono realizzati da gente che lui (e il buon Matteo Renzi) probabilmente vedono come relitti, come risulta, oppure come persone che dovrebbero starsene quiete, perché sono altri quelli che devono “andare avanti”.

Tutto sommato può essere vero, se la visione del lavoro, degli affetti, della sessualità, della socialità, delle infinite attività umane è limitata; ma non lo è se si riflette a quanti talenti un uomo o – meglio specificare: non si sa mai – una donna possono mettere a disposizione degli altri e quanta esperienza si accumula in una vita.

Perché chi glielo va a dire a Dorfles – con i suoi centoquattro anni e un articolo settimanale sul Corsera – che deve darsi una calmata. E chi sussurrerà a Maurizio Pollini che sarebbe meglio smettesse, che ci sono alcuni pianisti di grande talento a cui deve lasciare spazio(?), o a Chomsky, chi suggerirà di smetterla, a più di ottant’anni, di scrivere e insegnare (ai più giovani) le sue teorie? E Carol Rama non dovrebbe forse smettere di dipingere? E il nostro Napolitano? …

Ma tu – mi pare di sentirlo il Marcello (ma anche i giovanilisti renziani e non) – mica sei una di loro! Infatti no, non lo sono: sono altra, diversa, come ognuno di noi è e ognuno di noi, possedendo talento (qualsiasi talento), esperienza, visione, affettività, deve “esserci” e spenderli, per chi ha occhi, orecchi, sensibilità per capire e imparare, ed energia per prendere il testimone. Attenzione: può non essere banale ed essere pesante da portare!

Insalata era nell’orto

Chi vive in città non ha elementi per mitizzare il lavoro della terra – produrre cibo e bellezza, sostanzialmente – ; poi quando ti ci avvicini, ti accorgi dei suoi molteplici significati, incluso quello – indimenticabile – del paesaggio. Forse di quest’ultimo dato, noi di città siamo più consapevoli di chi nel paesaggio è vissuto da sempre, e perciò lo trova (doppiamente) naturale.

Poi, quando vieni a stare in campagna, ti riappropri dei sapori delle cose. Io che vivo in una delle campagne più famose del vino, sono tornata a gustarlo (il vino) doppiamente, sia perché tra i duecentocinquanta circa Brunello e Rosso posso scegliere quello che mi somiglia di più, sia perché conosco (e ammiro!) il lavoro della vigna, pur non avendolo praticato.

Penso che per apprezzare fino in fondo il vino e l’olio e gli altri alimenti di cui la terra e gli uomini sono capaci, bisogna avere la conoscenza del lavoro necessario a produrli. E un pomodoro – è quasi banale affermarlo – è tanto più buono se te lo dà l’uomo che ha seminato, innaffiato e zappato, per ottenerlo. E a proposito di semina, ho ancora ricordi di semi messi al sole, per farli asciugare, perché saranno messi nella terra l’anno successivo a quello in cui si è consumato il frutto da cui provengono.

Ma tutto questo non piace all’Europa, che sta studiando una legge per proibire l’uso di semi non acquistati (dagli amici degli amici, I assume) dalle aziende produttrici (ma non è madre natura a produrre i semi?), non solo per prodotti che saranno messi in commercio, ma anche per l’uso nel proprio privatissimo orticello, nel frutteto, nel piccolo campo personale.

Mi sembra che le multinazionali, dopo aver esperito altri settori, abbiano messo gli occhi sul ‘food’, consapevoli che l’informazione sempre più capillare e diffusa sta mettendo ogni cittadino in condizione di scegliere che cosa e come consumare – a partire dal cibo -.

Forse avremo ragioni meno poetiche per canticchiare “maramao” cui non mancava l’insalata (“era nell’orto”), domandandoci “perché sei morto?”, o forse, di questa canzoncina un po’ sciocchina, i produttori di sementi (ma non è Madre Natura a detenere il copyright?) faranno un jingle per uno spot che vende i semi di qualche brand amico degli amici della UE.DSCN5576DSCN5578DSCN5584

Arrotondamenti

“Una rotonda sul mare…”, vi ricordate? Quelli più grandicelli, certamente sì, se la ricordano quella bella canzone in cui “vedo gli amici ballare, e tu non sei qui con me”.
Canzone che celebrava una stagione (dell’anno e della nostra vita) e un sito particolarissimo, in cui si consumavano storie d’amore, abbandoni e ritorni. Luoghi che ci facevano immaginare un futuro pieno di promesse, in un paese bellissimo in cui la vita – almeno d’estate – poteva davvero essere dolce.
A me la canzone ricorda una rotonda sulla spiaggia scabra di Riva Trigoso, una gran scorpacciata di frittura mista, un vino bianco che mi pareva straordinario e che forse lo era davvero; il juke box che suona, un gozzo in secca lì accanto, il piccolo cantiere navale di Riva e, alle spalle di tutto ciò, il paesaggio della Liguria: una tessera del mosaico paesaggistico italiano.
Mi ritorna in mente, ieri all’improvviso, quella rotonda, insieme alla voce di Fred Bongusto, mentre transito in auto per una stradetta provinciale – nel tratto che congiunge Siena a Badesse e poi Monteriggioni – uno di quei luoghi straordinari, in cui pare(va) di essere proprio in Toscana, intesa come luogo dei tuoi desideri.
Dopo Siena (Stellino), la strada si snoda in lieve saliscendi e a sinistra è tutto un bosco, case rurali, ettari di radure e declivi; qualche albero molto bello, a destra qualche bottega vecchiotta con le sue insegne che paiono quelle originali: ti viene voglia di fermarti a curiosare, ad assaggiare i luoghi. Ma subito ti trovi in mezzo all’innovazione – intesa come rotonda – una rotonda dopo l’altra -: uno sventramento del paesaggio che si sgretola e diventa periferia suburbana, subito trovi cordoli e segnaletica, nella “razionalizzazione” di un traffico che lì non è mai stato convulso. Ecco uno stile che mima gli aspetti più squallidi delle periferie cittadine. Tutto tira all’appiattimento, all’anonimato, al brutto. Anche la Toscana dunque si adegua alla media delle altre regioni italiane. Altre rotonde, altri finanziamenti UE, che paiono inventati per imbruttire le nostre bellissime contrade, prendendo per la gola – negli affanni di questi tempi difficili – gli amministratori indifferenti (al bello e al futuro). Benvenute rotonde UE, addio rotonda sul mare, addio al futuro.