Lettera a Simone

DC_25016552Caro Simone, questo post è dedicato a te. Tra le foto alle mie spalle, nel ritratto che mi hanno fatto in quello che era il mio ufficio prima che facessi “carriera” (a te non ho bisogno di spiegare le virgolette), ce ne dev’essere anche una di te bambino – perché allora eravate bimbi e io facevo parte dei genitori democratici del Trotter -. Questa foto mi piace molto, la trovo interessante, perché racconta più che un tempo un mondo: basta guardare i due telefoni sulla scrivania per accorgersene. E poi c’è il Gabo, ritratto nel suo paesaggio fantastico, e riconosco anche la copertina di un manuale pubblicato da Advertising Age. Non ho dimenticato niente di quella scrivania ante carriera, perché facevo un lavoro molto divertente; in quel preciso periodo stavamo lanciando una collana di libri d’azione dedicata a un pubblico maschile appassionato del genere: fu un flop memorabile. Infatti quel genere di maschi non legge, o forse dovrei scrivere ‘non leggeva’, perché mi riferisco alle ricerche di mercato di allora. Però le cose, a quel proposito, non sono migliorate con gli anni, anzi.

Ho imparato da tempo che quelli che leggono sono meglio degli altri; non perché sono più buoni o gentili, ma perché conoscono il significato delle parole e delle frasi che uno dice e sono in grado di interpretarle e reagire comportandosi di conseguenza: ogni giorno ho modo di constatarlo. Ma forse dovrei correggere questa riflessione e scrivere che ‘quelli che leggono sono più fortunati degli altri’, perché hanno più modo di capire – ammesso che di questi tempi sia una fortuna. Ogni tanto però io penso di avere letto troppo; sì, lo so non è mai troppo, però a me succede di passare da un ‘registro’ all’altro, forse con un certo compiacimento, o forse sarebbe più corretto dire che facendolo provo un piacere tutto personale, difficilmente condivisibile con quelli che stanno qui intorno; per questo – nonostante la terra mi emozioni profondamente – il luogo in cui vivo mi sta sempre più stretto.

E’ qualcosa che mi fa sentire distante dagli altri. Allo stesso tempo mi rifiuto di far parte di un paesaggio umano distante dal mio modo di sentire. Credo che la radice di questo sentimento – abbastanza imperscrutabile – stia tutta in una scala di ‘valori’ (ma si usa ancora questa parola?) che mi si è formata in testa, vivendo. Non che io sia già morta, anche se qualche volta faccio finta di esserlo.

Caro Simone, quando Gianmaria mi ha scritto che tu leggi queste cronache e ogni tanto le commenti con lui, il suo messaggio (cioè anche il tuo) mi ha colto nel mezzo di una riflessione che potrebbe cambiare la mia vita, o meglio: il mio modo di vivere. Mi interessano (e mi riguardano) le notizie che mi arrivano su di te e sugli ex-bambini che ho guardato crescere. Mi interessano e mi riguardano le vostre scelte e i vostri sentimenti. Quando vi penso è come guardare in uno specchio; è troppo difficile scrivere l’effetto che mi fa, ma credo sia utile chiarirti che è balsamico. Ti sembrerà incredibile, ma invecchiando senza nostalgie e con un forte desiderio di futuro, l’idea di conoscerti ancora è fortemente energetica. Quindi questo post, caro Simone, è dedicato a te (ma anche un po’ a me).

 

 

 

7 pensieri su “Lettera a Simone

  1. Cara Silvana per me è sempre una gioia leggerti. Probabilmente ti sono coetanea e forse ho fatto un percorso di vita simile al tuo, per questo condivido molto le tue sensazioni e un poco mi appartengono. Grazie ancora, continua a scrivere anche per me, mi trasmetti grande serenità.

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