Essere o non Essere (madeinItaly)

Mi telefona uno che non conosco e che ha beccato il numero del mio cellulare sul mio sito. MI coglie mentre esco da un’edicola di Sinalunga, dove ho lasciato tre uomini alti dal volto toscanissimo (come si fa a capire ‘toscanissimo’? si capisce, si capisce molto bene) a parlare della crisi e della ‘mancanza di ricette’ per curarla.

Il tipo che ha chiamato è del nord e mi ci riconosco subito – magari non interamente nell’aria un po’ cauta, quasi esitante, con cui mi saluta -, mi riconosco soprattutto nelle parole ammirate con cui si bea della bellezza della Val d’Orcia, dichiarandosi visitatore abituale (e frequente). In realtà è uno che va al sodo; vuole il mio famoso (chissà?!) chocolat ed è andato sul mio sito, come si direbbe in milanese, a ‘ravanare’.

Stabilito il contatto e ‘rotto’ il ghiaccio, rompe pure gli indugi e scopro che sa un sacco di cose su di me e pure che vino fanno le mie figlie. Mi accorgo di aver perso un po’ i codici dialettici nordici, da come stavo per tirar su un muro, esattamente come fa la gente di qui che è cordialissima, ma che salvate le eccezioni, che pure ci sono, si può esser certi che i sorrisi sono di comodo. Ma anche a causa dei tre dal volto così toscano e dalla recriminazione facile, che mi ritornano in mente, nella seconda telefonata che, come si sul dire, tra noi intercorre, dopo aver esordito con lusinghiere (per me) richieste di chocolat (mio costoso passatempo), gli chiedo qual è l’attività della sua azienda.

Ne parla, come mi è tornato subito familiare, con quella passione quasi sensuale per il proprio fare che riconosco solo nel lombardoveneto (i piemontesi sono più chiusi al proposito) – non che altre (tutte) regioni italiane siano sprovviste di passione per il lavoro, ma nel lombardoveneto questa viene espressa in un modo particolare che mi è noto -. E mi racconta tutto un ‘inside’ che mi lascia interdetta.

In pratica mi racconta come nel settore – rubinetteria, mi cita ad esempio – vi siano aziende che acquistano le componenti in India o in Cina, incuranti della presenza di un’altissima percentuale di piombo (che in Italia è bandito da decenni, per gli effetti dannosi alla salute). Poi assemblano la rubinetteria, ci mettono il marchio “made in Italy” e furbescamente vendono con il loro prestigioso ‘marchio italiano’; con tanti saluti alla salute, alla verità delle cose, e non da ultimo ai posti di lavoro – mi viene da pensare. Me lo racconta per spiegarmi come sia diventato difficile, addirittura impervio, lavorare facendo sfoggio dei talenti e della conoscenza tutti italiani, che ci hanno reso famosi. Ecco uno in grado di apprezzare un lavoro fatto con passione, penso, e un giorno a quelli come lui racconterò la mia storia: la storia di una “strulla”.

Dopo aver parlato con il signore in questione mi viene in mente che di made in Italy c’è rimasto poco più di quella che ci piace chiamare furbizia, ma che è, ancora una volta, una frode concessa da chi dovrebbe controllare che queste porcherie non succedano.

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