Sì, paesaggio ma non troppo. Un etto basta e avanza: è giusto quello ‘zic’ che serve a “fare business”, un’espressione che sto incominciando a detestare; non per moralismo nei confronti dei danée, degli affari, cioè del business di cui prima, ma perché in questa fase delicatissima, in cui chi pensa e legge e riflette dovrebbe aver capito che valorizzare non vuole dire tradurre in cartamoneta, ma significa proteggere, riguardare, rivedere i criteri di convenienza a lungo termine, senza – ovviamente – trascurare il lavoro e le sue remunerazioni. Invece il paese sembra abitato da pappagalli orecchianti, pronti a dire la parolina giusta, quando si pensa che sia quella che “fa fare business”. La parolina, ma nulla che vada oltre; e invece è vero che “basta la parola”, ma basta ad andare “là”!
Così, dopo il super qui e il super lì, dopo i lunghi anni di ginnastica sulla “qualità” e sull'”eccellenza”, la campagna nostrana scopre il paesaggio, cioè scopre sé stessa. Qualcosa che, nei secoli è stato nel cuore e nella mente di poeti e musicisti, alle spalle di madonne e altri santi, nell’idea di un mondo intelligente e colto (che non vuol dire libri letti, ma gente che pensa!), in cui l’agricoltura “produce” il paesaggio; e quanto più è bello il paesaggio prodotto, tanto più è buono ciò che l’agricoltore produce.
Diamo il benvenuto ai nuovi adepti del paesaggio, e speriamo che non lo pensino come nell’immagine qui sopra: qualcosa da citare, da da tenere in un recinto di comodo, affinché non rompa le scatole a chi “deve fare business”. Perché il paesaggio – ce lo ha spiegato uno dei massimi poeti viventi – è dentro di noi e produce, sì: produce pensiero e civiltà.
Mi ricordo come era il mio piccolo mondo prima che venisse levigato da lestofanti locali e stranieri e prima che lo facessero diventare una disneiland per riccastri che ora se ne guardano bene dal venirci con la conseguenza di avere prezzi degli immobili e dei terreni assurdi che nessuno si vuole più accollare e chi li ha non vede l’ora di andare via.
Però non esistono più gonzi di passaggio.
Rimarranno tante cattedrali nel deserto riprese con forza dai rovi?
No, perché sta arrivando un’altra onda, quella dei ricchi dell’est, e dei loro succedanei. Però purtroppo queste invasioni – davvero barbariche (nel senso che l’idea dei luoghi è sempre più approssimativa: l’imitazione dell’eco di ciò che si supponeva fosse stato) – sgretoleranno ciò che resta della Toscana, aiutati dagli inventori delle “feste” “epocali” per celebrare una “regione che non ha rivali”. Allora, se penso alla Toscana in cui arrivavamo – noi milanesi, estenuati da settimana di cinquanta o sessanta ore – in punta di piedi, rispettosi di questo mondo più povero, ma più equilibrato e civile, più poetico, a cui eravamo profondamente grati, perché ci donava un frammento di serenità, mi viene – milanesemente – il magone. Purtroppo però, ancora una volta è una questione di ‘cultura’ (e ancora una volta non sono i libri letti, ma i pensieri, le riflessioni, la scala dei valori): tocca assistere anche alla menata del paesaggio, tirata fuori da chi non ha la minima idea di che cos’è.
Che poi bisognerebbe aggiungere “quale” paesaggio, perché la Toscana NON È tutta file di cipressi su colline dolci. Nella Maremma grossetana o nell’Amiata non ce n’erano, e in Valdorcia solo nei viali d’accesso alle ville e ai cimiteri. Ma ora ogni neo possidente ne borda vigne e viali, con una ostentazione di analfabetismo della grammatica del paesaggio che grida vendetta al cielo. E i muri delle case in pietra a vista, mai esistiti nella storia? Quei muri erano a sacco, l’intonaco povero e a tratti abraso a scoprire le pietre sopravviveva anche ai terremoti e teneva fresco; ora quei muri irrigiditi a cemento buttano una vampa da fornace e crettano a ogni minimo movimento del terreno. Così come gli infissi a legno, prima erano sempre stati verniciati azzurrini o bianchi e duravano molto, ma molto di più.
Ineccepibile. persino la sottoscritta – una che viene da terre lontane e aliene – si ricorda degli infissi dipinti nei colori più resistenti alle intemperie (già perché non tutti i colori hanno le stesse caratteristiche: cioè abbiamo parecchio da recuperare, quanto a “saperi si un tempo”, ohibò).
E sui cipressetti, ahi ragione, anche se continuo a preferirli rispetto a una centrale a biomasse o a una fila di casette a schiera…. (senza sarcasmo: e non è una escusatio non petita)..