Mentre il sole e un po’ di tepore a cui non eravamo più abituati scaldano il cuore, ecco che le vigne – immobili e in grande ritardo, mi dicono gli addetti – si muovono all’improvviso e le foglioline crescono a vista d’occhio (e non è un modo di dire); questa torna a essere terra di incontri, nonostante i tempi più che austeri che l’Europa sta vivendo.
L’Europa, sento dire, perché l’ottanta per cento degli abitanti della terra sta invece vivendo un’epoca completamente diversa da questa involuzione che pare inarrestabile. Ho sentito ieri alla radio (radiotre mondo?) i numeri esatti e raccontano di un mondo che non è più quello – nostro – a cui eravamo abituati da sempre.
Questo dovrebbe provocare due movimenti – mi pare -: il primo è quello di dare una ripulita alle nostre ‘tipicità’, ma non in senso folkloristico (o disneyano), come sta facendo qualche anima troppo semplice; bensì trovare un “vettore di modernità” alla tradizione a alla nostra cultura, consolidandole come ‘un classico’. L’altro movimento sarebbe quello di capire – ma non bisognerebbe mai cessare di farlo, vero?! – come sta cambiando il nostro orizzonte, e quindi non farsi prendere in contropiede, dal mondo che cambia, e cambierà.
Alzare la testa e guardarsi intorno – vicino e lontano – ; non lasciarsi ingabbiare dai giochi della politica (che da noi pesano troppo), cercare di capire che cosa succede altrove, per essere pronti, ma anche per essere aperti ai bisogni degli altri.
Così, una sera della scorsa settimana, mentre imperversava Vinitaly e ne leggevo gli echi sulla stampa quotidiana, cenando nella quiete elegante della Toscana vera (e ben interpretata) con una scrittrice americana, ho toccato con mano quanto Montalcino, la Toscana, l’Italia e i nostri vini, siano osservati con puntualità; chiacchieri e scopri che certe dinamiche che immaginavi fossero quasi solo ‘di cortile’ siano invece perfettamente riconosciute (e lette in filigrana). E se pensavo (ma in realtà non lo pensavo del tutto) che certe divergenze locali fossero piallate dalla comunicazione, ho avuto l’ennesima conferma della forza del bocca a bocca e di quanto la stampa libera (quasi tutta straniera) non abbia troppa voglia di farsi incantare da un cadeau o anche semplicemente da un approccio molto (o troppo) gentile.
Sono passata da una cena che mi ha lasciato meditabonda a un pranzo e dopopranzo, con l’amico Tsoukas, un suo amico greco e un agronomo biodinamico che lavora prevalentemente in Africa, ma che è attivo anche qui. Ed ecco che si è aperta un’altra finestra – e dio solo sa quanto ce n’è bisogno – su un mondo a cui bisognerebbe riuscire a dare una mano, ma non casualmente e non occasionalmente. Intuisco anche che “dare una mano” a quel contesto in cui lavora l’agronomo con cui sto parlando, può anche aiutare noi e il nostro mondo alla ricerca di nuovi stimoli, più veri. E smettere di piangere sui nostri guai.