Lezione di Economia

Incontro Vera, che è mia coetanea e si è lamentata recentemente con me, perché le ho fatto un ritratto (insieme al marito) in cui si è vista troppo vecchia.
“Ma siamo vecchie!” osservo, ma lei in realtà non se ne è avuta a male affatto.
E’ una donna molto rispettabile e molto lucida; Vera; anche se non ha (forse) avuto molta esperienza ‘di mondo’, ha una visione molto equilibrata delle cose, di come stanno e come cambiano.
Facciamo due piacevolissime chiacchiere accanto a un olivo che i cui fiori stanno tramutandosi in minuscoli frutti, dando l’impressione visiva di un gran lavoro interiore (dell’olivo) e di tanta energia. Come quella che traspare dal volto sorridente di Vera, che stava trottando di buon passo, per raggiungere il podere in cui il figlio ha l’azienda agricola, quando l’ho intercettata.
Due chiacchiere, con Vera, vogliono dire  un racconto e le osservazioni che fa – sui tempi odierni – fanno eco alla vita di un tempo lontano, quella vissuta da giovane, quando stava con i genitori e altre quattro famiglie in un podere, senza le comodità a cui siamo abituati, nemmeno quelle che oggi consideriamo indispensabili. E le capita di raccontarmi una cosa che mi rimanda con prepotenza ai giorni che stiamo vivendo.
Lasciando da parte i paragoni che mi saltano alla mente, il racconto di Vera tratta della vita quotidiana, a quei tempi, in cui – stando in un podere in campagna – non si faceva la fame, ma non c’erano soldi. “Perciò, mi dice, quando arrivava il ‘troccolo’ con la mercanzia da vendere, pochi tra loro (e poche volte) riuscivano a comperare qualcosa” (il troccolo era una specie di carretto da venditore ambulante). Mi racconta che per tutta l’infanzia ha desiderato il cioccolato, che solo rarissimamente aveva assaggiato e mi vengono in mente altri racconti di altre persone che avevano vissuto un’infanzia di stenti. Ma Vera, a questo punto fa un’osservazione di quelle sue “la fame non si pativa, certo, ma non si sapeva niente, nemmeno di quello che succedeva nel mondo: tutto il giorno a pascolare maiali in mezzo ai boschi e ai campi…”. E arriva all’episodio che a mio parere va sottolineato nella sua attualità rivelatrice. Mi dice che insomma si mangiava e non si stava poi così male in quel podere (tutt’ora in piedi e con una struttura molto bella), c’era buona acqua di fonte, per bere, cucinare e lavarsi che mancava solo “quando venivano i padroni da Roma, che la deviavano, riservandola alla villa e ai loro bisogni, per tutto il tempo in cui rimanevano in campagna”. Resto a bocca aperta, riflettendo che è fin troppo facile affermare che da quei tempi – di povertà assoluta – a oggi, certi criteri non sono cambiati, e anche Vera lo sa; anche se però, ciò che allora le mancava di più, il sapere e la conoscenza, oggi sono più accessibili, almeno per chi ne percepisce il bisogno, come Vera, che non a caso è una persona molto lucida. Chissà se anche a lei l’asimmetrica spartizione dell’acqua d’antan, tra i padroni e i loro contadini fa venire in mente qualcosa di attuale…

10 pensieri su “Lezione di Economia

  1. A me fa venire in mente il declinismo odierno il si stava meglio quando si stava peggio, il mito della vita in campagna dei tempi che furono. Ovviamente tutte cose giuste, quando dette con la pancia piena, al caldo, al sicuro.

    • No, no! Non si stava meglio allora, proprio no. Anzi, quel deviare l’acqua quando arrivavano “i padroni da Roma”, mi pare un sopruso conclamato.
      E quel sopruso me ne evoca altri odierni, a cui magari siamo abituati, o a cui ci si rassegna, perché passare la vita ad affermare diritti è praticamente un lavoro.
      Vera mi diceva che ciò di cui ha sentito di più la mancanza era ‘sapere’ e ho trovato questa consapevolezza straordinaria e singolare; soprattutto in un luogo internazionalmente noto – quello in cui sto – ma i cui abitanti (con alcune eccezioni), non sentono la conoscenza come un bisogno primario…

  2. In tempi non remoti “pigliare il postale per andare a Siena” era un’avventura e Firenze sapeva di esotico.
    Lavorare, lavorare, lavorare e contentarsi di poco era il destino di molti intervallato da serate a veglia nell’aia e un sigaro preso a bottega insieme una fratellanza che nel poco accomuna e questa forse è la parte che più manca oggi, presi come siamo da mille invidie e dal voler essere sempre più meglio del prossimo.
    E non credo vengano rimpianti i tempi in cui la mattina per lavarsi la faccia veniva rotto il velo di ghiaccio si era formato in camera sopra la bacinella dell’acqua.
    Mancano la semplicità, il gioco, lo scherzo come l’essere compatti di fronte alle necessità di qualcuno.
    Capace se a un vicino si dice che è un bischero per burla il giorno dopo arriva una querela per lesa bischerità.

  3. Tanto per non scivolare in equivoci, vorrei sottolineare che l’incontro con Vera – ma anche gli scambi con lo sparuto gruppo di superstiti ottuagenari, e anche con i più ‘giovani’ del paese in cui sono immigrata – non mette in evidenza
    “valori di un tempo che fu”.
    Proprio questa zona – ora ricca e famosa, anche se subisce come tutto il paese le angherie dell’economia speculativa a cui l’Europa ha aperto le porte – cinquanta, e anche meno, anni fa viveva nella miseria più assoluta.
    Quello che mi ha colpito è la singolarità del sentimento di Vera, nei confronti della “conoscenza”: un bisogno di cui non mi aveva parlato mai nessuno, prima di lei. Poi quella faccenda dell’acqua deviata esclusivamente alla villa dei padroni, con i contadini e gli operai lasciati ad arrangiarsi. Un comportamento medievale, in essere solo mezzo secolo fa, in pieno novecento!
    Forse il mio è un pensiero troppo “comunista”, ma è un po’ quello che accade con le tasse: chi è molto molto ricco è praticamente esentato dal pagarle – tutt’oggi -, perché gli strumenti per non farlo sono ampiamente a sua disposizione, mentre chi è appena benestante (soprattutto chi lo è in ragione del proprio lavoro) viene caricato di balzelli infiniti.
    Insomma, ancora vistose asimmetrie, a vantaggio di classi che sono praticamente intoccabili…così almeno mi pare.

  4. ….Ricordo che anche la mia mamma,che aveva fatto solo la quinta elementare,avrebbe tanto voluto studiare e continuare la scuola….E invece era dovuta andare presto a imparare a cucire,…x diventare poi una delle Sarte più brave,ambite e amabili di Siena!…Era una “signora”nei modi e nell’anima,di una bellezza rara,e un portamento che faceva voltare x strada anche le signore,tanto era distinta…Più “nobile”dei ricchi che “serviva”,cucendo. Conservo ancora dei suoi abiti da sera,eccezionalmente attuali,e moderni,con stoffe splendide…e cappotti che si era cucita talmente bene,che ricordo,ed ero bambina,nel famoso negozio di stoffe Ceccuzzi,una signora le chiese chi glielo avesse cucito,tanto tornava bene! E la mia mamma :”modestamente, io!” (pronunciato,con una certa timida modestia..ma conscia del suo valore)…..C’era un saper fare manuale,che appagava chi lo praticava…Erano tempi duri,di miserie..ma le persone crescevano “solide”,salde nell’anima ….non so se mi sono spiegata…Forse ho anche divagato troppo…Scusatemi. Un saluto

    • Se non si divaga in un blog, mi domando dove si potrebbe.
      Bella la testimonianza e il ricordo della mamma.
      Non è necessario tornare alle ristrettezze del passato, per apprezzare il lavoro ben fatto: la negazione del suo valore assoluto la dobbiamo all’avidità di chi cerca di impadronirsi delle cosiddette tradizioni, o meglio delle lavorazioni che hanno dato fama e reputazione a territori e prodotti, in vari settori produttivi, per poi usarne solo il nome, come specchietto per allodole un po’ stupide.
      Fatto a mano, dovrebbe corrispondere a un lavoro accurato e non a un lavoro “tirato via”.
      Certo, se si vogliono fare i numeri, si fa a macchina, e non a mano.
      Il paragone con l’alta sartoria (rigorosamente lavorazioni singole e accuratissime, altrimenti che alta sartoria è?) e la boutique – i cui modelli traggono ispirazione dallo stesso stile / stilista – è, a mio modo di vedere, esemplare.
      Sono due produzioni diverse e stupido sarebbe un Armani che mettesse il marchio “haute couture” a un vestito di Emporio Armani. Stupido e autolesionista.
      Ma siccome Armani stupido non è, non lo fa. Altri invece ci provano, nei più diversi settori.
      Anch’io divago, pensando a dove sta scivolando l’Europa – anche in queste ore – a causa dell’avidità degli europei.

  5. Quando ero bambino (facevo parte di quei cattivoni dei padroni, sai) venivo l’estate in campagna e non toglievamo l’acqua a nessuno. Anzi, a dire il vero avevamo portato a spese nostre all’inizio del secolo acqua corrente e energia elettrica in tutti i nostri poderi, e le pagavamo noi. Così come li avevamo dotati di bagni e di cucine di ghisa a legna che, per gli standard dell’epoca, fungevano da riscaldamento. Ti ricordo che quella era un’epoca in cui il termosifone non c’era nemmeno a casa nostra. Quanto al racconto della tua amica, riconosco che è suggestivo ma é un po’ improbabile che sia vero; in un mondo in cui i “trattori” erano i bovi e c’erano tantissimi animali in ogni podere, non era materialmente possibile togliere l’acqua proprio l’estate, non si sarebbero solo assetati i contadini ma si sarebbe anche ammazzati tutti gli animali. Cosí si sarebbe azzerata la redditività e il valore del podere, non dico che i padroni fossero altruisti ma nessuno era così imbecille. Non é che la tua amica sia bugiarda, é che il passare del tempo (e forse anche la politica) ha effetti curiosi sui ricordi.

  6. Caro Stefano. I padroni “cattivoni” c’erano allora e permangono oggi – talvolta travestiti da sinceri democratici -. Aggiungo che, per storia personale e professionale, la mia vita si è sempre svolta tra gente ricca, molto ricca: ricca anche di idee, per mia fortuna. Come sai, ho persino lavorato lungamente con mister B., non condividendo molte sue idee, ma apprezzandone alcune. Bando ai settarismi e non farmi passare per quello che non sono (mai stata).
    Tra le mie qualità purtroppo non c’è quella di appoggiarmi da una parte (o a un partito) e in questo mondo di conformisti, o sei bianco o sei nero, o stai da una parte o dall’altra: io semplicemente non sto.
    L'”amica”, inoltre, non è proprio un’amica, è una buona conoscente, una signora seria (ancorché semplice) che stimo, ed è anche madre di un tuo ‘collega’ produttore.
    L’acqua che veniva ‘deviata’ non era quella destinata ai bovi, ma quella che consumavano gli umani.
    E quanto ai “padroni”, tu (che discendi da una famiglia di persone colte e non solo abbienti) sai quanto me che ce ne sono (sempre stati) di buoni e di cattivi, di illuminati e di arroganti, di sensibili e di rozzi.

  7. Mia cara, certo che in ogni categoria sociale c’erano e ci sono persone di tutti i tipi. Peró quelli che attuano comportamenti autodistruttivi sono rarissimi, anche perché si estinguono in breve tempo. E togliere l’acqua d’estate, sia pure solo agli umani (a proposito, come si fa a togliere l’acqua ai contadini lasciandola ai bovi?) è appunto un comportamento così autodistruttivo da essere impossibile; per morire di fame ci vogliono due mesi, ma di sete si schiatta in due giorni. E i morti non lavorano i campi.

    E non bastasse cara amica, Montalcino non è il Sahara e qui siamo pieni di pozzi, fonti e fontoni. Per non parlare dei numerosi laghi che i Caetani Lovatelli, i padroni della tua conoscente, avevano disseminato nella campagna; anche volendo come avrebbero potuto ridurla alla sete? Magari d’estate quando arrivavano i Caetani Lovatelli avranno usato una delle sue fonti anche per i loro cavalli, e la fantasia di bambina l’ha trasformato in condanna alla sete. Ma quanto è più bello il racconto della povera piccola che muore di sete!

    • Ma lei non è morta di sete! Ovviamente nessuno di loro è schiantato per quello. Ma la pacatezza del suo racconto – che non ha niente di rivendicativo, limitandosi a mettere l’accento sulla mancanza di ‘pensiero’ e di ‘conoscenza’, della propria condizione a quei tempi – è solo una testimonianza delle diverse condizioni di vita a quei tempi, rispetto a quelle odierne, che, osservava, noi diamo per scontate…
      Non ho dubbi sul fatto che i Caetani Lovatelli (se così si chiamavano i proprietari) avessero un comportamento esemplare con i loro contadini e Vera (ammesso che parlasse di loro, perché non mi ha fatto nomi) non aveva un tono critico: mi raccontava un fatto.
      Sarò stata io – notoriamente pericolosa “comunista” e sovversiva -, nel riferirlo, a conferirgli (magari nolente) quella sfumatura contestativa che tu vi leggi!

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