L’Odore dei Soldi

Mentre i temi e gli articoli che si susseguono sulla stampa nazionale (ma ancora di più su quella internazionale) registrano l’insolvere di nuovi pensieri e riflessioni da parte di tutti gli attori sulla scena mondiale – giornalisti, sociologi, economisti, istituzioni, e qualche politico lungimirante -, prodotti dai grandi cambiamenti che ci lasciano con più di un interrogativo, molti uffici stampa continuano (come se niente fosse successo) a macinare i soliti ingredienti da dare in pasto ai giornali, apparentemente ignari (gli uffici stampa) che i generici ottimismi e le iperboli riferite al prodotto di cui si occupano, cozzano con lettori che sono stati colpiti da eventi epocali che hanno lasciato cicatrici nelle anime, nell’immaginario e quasi sempre anche nei portafogli.
Mi riferisco, in questo caso, alle Anteprime dei Grandi Vini Toscani che si stanno svolgendo in questi giorni, ma vorrei subito sottolineare che quella che sto scrivendo non vuole essere un attacco a chi “fa” l’ufficio stampa. Perché gli uffici stampa, troppo spesso, non sono altro che il megafono di ciò che i loro committenti vogliono, e questi ultimi paiono incapaci di dialogare, ad argomenti pari, con i soggetti che possono apprezzare e valorizzare segnali di rinnovamento, nuove proposte, nuovi argomenti che dovrebbero essere usati a favore dell’inestimabile patrimonio enologico italiano (e nello specifico, toscano).

Perciò, mentre il mondo ‘globalizzando’ si omologa e si appiattisce sempre di più ma così facendo diviene anche lo scenario ideale per affermare i tantissimi ‘unicum’ che il nostro paese detiene, e mentre l’universo mondo è alla ricerca dell’originalità residua, noi evitiamo accuratamente (ancora una volta) questi temi, e diamo i numeri. Numeri che per altro testimonierebbero il buon successo del nostro eno-export , ma in termini di volumi, perché il nostro prezzo medio resta ancora basso, per esempio rispetto alla Francia. A dimostrazione che anziché apprezzare le qualità e i meravigliosi profumi dei nostri vini, il nostro naso resta tutt’ora più che altro sensibile all’odore dei soldi.

 

21 pensieri su “L’Odore dei Soldi

  1. Una inarrestabile corsa al ribasso ci porterà al disastro, o ci porterà chi produce, a beneficio di colossi che imbottigliano e si fanno i prezzi dello sfuso vorranno acquistare per guadagnare dieci centesimi a bottiglia che fanno fatturato ma non territorio, non la sua cura.
    Leggere i dati pensando che quantità e milioni di pezzi a basso prezzo fanno numero ma non salute.

  2. E’, molto banalmente, lo spread culturale – a tutti i livelli – tra due Nazioni. In principio c’è la lettura dei libri e l’alfabetizzazione del ‘popolo’.
    Un popolo di lettori più facilmente ha contezza del proprio capitale immateriale, con tutto quello che consegue.
    Sono anni – almeno cinque, ma certamente di più – che in giro per il mondo si apprezzano i vini di territorio (a maggior ragione quelli che nascono e crescono in un territorio esteticamente pregevole, come sono in genere i luoghi del vino in Italia), eppure non c’è un grande capo – di quelli che dovrebbero contare – nel mondo del vino, che sia saltato su questi valori (solo apparentemente immateriali) e li abbia usati come fattore/vantaggio competitivo nei confronti del resto del mondo.
    Dimmi tu allora che cosa può pensare uno/a che ogni giorno deve leggere la stessa solfa, e non una parola – non una – che esca da un coro che pare un soffritto degli stessi argomenti usati da anni (ma paiono secoli) per raccontare storie che grondano retorica e qualche volta sanno di ‘balle sonore’.
    Eppure, tra i ducetti del vino, ci sono persone di lungo corso che stimo, anche se quello che dichiarano è lontano da quello che penso; li stimo perché hanno grandissima esperienza e le loro scarpe hanno calcato vigneti e campagna. Ma sembrano vivacchiare nel brodo di un pensiero ormai privo di senso.
    Aggiungo che, con una certa fatica, sembra andar di moda un po’ di trasparenza e se la usassimo anche noi, credo che la pipì dei francesi potrebbe essere quanto meno ricambiata.

  3. Il ragionamento fila, gli uffici stampa sono banali. È vero, ma occorre anche tenere conto di una realtà; è facile descrivere con parole interessanti qualcosa di nuovo, ma è molto più difficile presentare in modo valido la nuova vendemmia di un classico che, ogni anno, è più o meno lo stesso. Sfumature ipertecniche a parte. Sono più di trent’anni che mi gratto la pera con questo problemino. Certo, sarebbe ganzissimo e di rottura dire; sapete cari belli, quest’anno abbiamo fatto una ciofeca. Bello, e secondo me (per assurdo) pure parecchio pagante dal lato commerciale. Ma se con la cura assillante della vigna, le produzioni bassissime e un microclima che qui è unico questo in realtà non accade mai cosa dobbiamo farci?

    • Non sono stata abbastanza chiara.
      “La verità detta (molto) bene” è il Vangelo di un noto gruppo che fa comunicazione – a livello mondiale – da un secolo o giù di lì.
      E’ e rimane il mio modo di vedere le cose.
      Quello che vorrei sottolineare, senza molte pretese ovviamente, ma vorrei proprio riuscirci, è che di novità interessanti, di ‘sguardi’ che si stanno rinnovando ce ne sono davvero molti.
      La ripetitività dei “claim” – stelle incluse, ma è solo un piccolo esempio – dipende non tanto dagli uffici stampa, ma forse dall’inabilità di chi dà il briefing. Perché c’è una grande lontananza rispetto ai temi che si muovono per il mondo; la lontananza di tutti quelli che pur avendo grandi leve per le mani, non le usano per quello che valgono.
      Ci sarebbe anche dell’altro, ma so che suonerebbe polemico, e io non ho alcuna intenzione di polemizzare.
      Mi spiace solo veder rifriggere le solite storie, quando ce ne sarebbero di ben altre per attrarre l’attenzione positiva dei mercati (e non solo). Così la possibilità di un vero ‘salto di qualità’ (non del vino, ma della visione di sé stessi rispetto all’universo mondo) rimane una mia percezione solitaria.

    • E se le cose stanno che dopo il 2002, e al limite il 2003 che peró era più iperconcentrato che scarso, non abbiamo avuto una sola annata cattiva? E se le cose stanno che la differenza tra le annate 2004, 2005, 2006, 2007, 2008 e 2009 sono così sottili che solo esperti molto raffinati possono coglierle? E se le cose stanno che il 2010 e 2011 sono state stranissime ma poi a fermentazioni finite si sono rivelate buone pure esse? E se le cose stanno che tutte queste annate sono a più di quattro stelle ma a meno di cinque? Queste sono le cose come stanno, e ora come le comunico in modo interessante e differenziato? Che è colpa nostra se il buon Padreterno ci ha regalato un microclima così? Dobbiamo pregare per un’annataccia? Mi dica, per favore, come puó fare notizia una continuità nella ottima (perché di ottimo si tratta) qualità senza peró punte tipo il 1997.

  4. Fanno più notizia vini ora dai colori scarichi prodotti dalle stesse vigne che fino a qualche anno fa producevano inchiostri impenetrabili?
    Quando un vino è buono, la sua comunicazione è semplicissima, magari con il nome Montalcino dietro.
    E’ quando un vino viene prodotto nei canneti o dove stavano i girasoli, tanto per fare un esempio, che occorre un poca di fantasia per farlo arrivare a destinazione

    • Sono reduce da Benvenuto Brunello, e comunque i vini di qui li bevo quasi tutti . Di inchiostroni quest’anno non ce n’erano e io ne sono molto lieto. Credo che questo sia ben noto. Ma non c’erano nemmeno Brunelli dai colori scarichi, e nel complesso c’erano dei gran buon vini. E qui bisogna intendersi; d’accordo, c’é chi ha sbagliato e Brunellopoli non è di certo un’invenzione di “giornalisti segaioli” come dice qualche illustre pensionato. Ma questo vuol dire che chi ha sbagliato in passato farà sempre vini taroccati o cattivi? Ma dove è scritto? Delle loro colpe e responsabilità passate e presenti parliamone pure, accusateli per quello e non per errori che oggi non stanno facendo. E, giusto per saperlo, dove sarebbero i canneti a Montalcino? Perchè qui di molto c’è abbondanza, ma di acqua proprio no. Basta con la leggenda metropolitana dei vigneti fatti ovunque messa in giro da gente che non si infanga le scarpe per andare nei vigneti; guardatevi bene le mappe e noterete che accanto ad ogni azienda che fa vini discutibili c’è a pochi metri uno bravo. E allora come la mettiamo? Non c’è una sola area geografica in cui ci siano esclusivamente aziende che fanno Brunelli discutibili, e questo è un fatto facilmente dimostrabile. La realtà è un’altra; il sangiovese è un’uva maledettamente difficile, a sbagliare si fa presto e con il monovitigno non c’è modo di correggere gli errori. Chi ci mette l’anima fa un grande Brunello, e chi crede di cavarsela con poco no. Tutto qui, il resto sono chiacchiere.

      • Credo che il Brunello sia in grande rimonta. Non lo desumo da BB, ma da quello che si beve in giro, dai commenti della gente – prima ancora che dai commenti degli addetti ai lavori (che sono sempre un filo interessati) -. Ma capisco l’intervento di Pagliantini, che discende da una serie di omissioni di tipo tecnico (come verrebbe da dire di questi tempi di governo); omissioni e inutili polemiche e battute. Ogni ‘notizia’ che va in onda, però, ne vuole un’altra che la modifichi, se non si vuole lasciare spazio a incertezze, fraintendimenti o addirittura a falsità!
        Purtroppo la vicenda del Brunello cosiddetto ‘taroccato’ – vicenda finita e superata – è rimasta, nell’immaginario collettivo (ma anche in quello singolare), irrisolta. Sto riferendomi soprattutto al pubblico degli addetti ai lavori, che hanno seguito passo passo quell’affaire. Questo è un punto che a Montalcino nessuno ha capito. Eppure è molto semplice: anche le notizie problematiche vanno ‘lavorate’ e non ficcate sotto il tappeto.
        Il problema è che i Pagliantini (ciao Andrea!) fanno opinione presso un loro circolo, magari più, magari meno, di altri, ma fanno opinione. Se dovessi – in prima persona – smantellare alla lettera la residuale negatività e le polemiche, ‘lavorerei’ a più livelli il problema che c’è stato, fino a farne un’operazione trasparenza a vantaggio di consorzio e prodotto. Senza bisogno di “regali fuori ordinanza” ad alcuno, semplicemente aprendo e non arroccando! Addirittura ne farei un tema da discutere in certe sedi che potrebbero diventare un luogo di ulteriore lancio.

  5. Non credo di smuovere chissà cosa in opinioni e meno che meno bottiglie, e quanto assaggiato a Benvenuto Brunello oggi, a mio modesto parere, era vino di ottima qualità.
    Queste annate torride che si susseguono sempre più spesso hanno la caratteristica di concentrare nei punti meglio esposti e favorevoli e aggraziare molto i luoghi in cui il sangiovese trova più difficoltà a maturare e venire bene.
    E per quanto riguarda il discorso sui canneti, non ho detto che a Montalcino ci sono vigne piantate al loro posto. Non avendo una conoscenza millimetrica del territorio, non posso permettermi di affermare una cosa del genere.
    Ho detto solo che comunicare la qualità di un prodotto eccellente (che nasce in un posto magnifico dal punto di vista esposizione, storico e paesaggistico) è molto più semplice che cercare stoffa da tessere e spunti comunicativi per un prodotto che nasce in un luogo meno vocato e con meno fascino.
    Il Brunello è un’eccellenza (di sangiovese) affonda le barbe a Montalcino, una realtà unica e irriproducibile se tale rimane per tipicità e non si trova costretta a dover vendere milioni di bottiglie in un mondo in cui la richiesta di vino non è necessariamente così ampia.

  6. Il tuo mi sembra soprattutto un invito a guardare, anzi salva-guardare gli elementi di tipicità e di unicità. Io so che tu fai opinione: niente di universale, ma anche a voler essere minimalisti (guai a non esserlo in questi casi!), ogni parere ne muove molti altri e crea discussione. E la discussione costruisce il mercato.

    • …ma attenzione però, che mi sembra di aver letto da Ziliani che non riuscendo ad avere la maggioranza dei voti per cambiare il disciplinare, nel Consorzio- già reduce da Brunellopoli- si parli di modificare lo statuto per cambiare il peso del voto, riducendo il peso dei piccoli produttori! In Italia, in ogni settore, si vuole introdurre un bel “porcellum” e poi mettere alla guida qualche Schettino…Diceva Montanelli che fare i furbi è la maniera più ganza di esser stupidi, se avete visto il servizio di Iacona sugli investimenti in cultura che i francesi confermano con la crisi, saprete che i nostri GAP reali rischiano di essere inversi agli spread farlocchi attuali.

      • Siamo arretrati, da questo (e non solo) punto. Siamo afflitti da una classe politica e amministrativa composta da gente che mette al primo posto nella scala dei valori i soldi. I soldi – che sono importanti – non possono essere reclamati a qualsiasi costo e anteposti a qualsiasi altro fattore. Poi cìè uno come Tremonti che ha predicato per anni che ‘la cultura non dà da mangiare’; invece la cultura, con tutte le sue implicazioni è un modo duraturo per fare economia…
        Lo sanno i francesi e lo sanno persino gli americani, per non parlare di altri continenti.
        Possibile che proprio noi, così disposti a idealizzarci e ad attribuirci storia e passato monumentali, siamo così inclini a trascurarli quando si tratta di metterli a frutto!?

    • In questo momento c’è un ritorno alle origini e alla tipicità e anche chi un tempo ha sbagliato con la nota e triste vicenda si è uniformato alle norme producendo bei vini.
      Bisognerà chiedersi se il mondo ha la necessità di consumare milioni di bottiglie escono diciamo ad una media di 25 euro franco cantina (?) e se gli antichi mercati come gli Stati Uniti non consumano e richiedono dosi massicce di vino pregiato come un tempo servirà cambiare orizzonti.
      Che sono senza ombra di dubbio la Cina, dove chi è ricco lo è per davvero e beve, a sentire chi ci bazzica più il marchio che il vino.
      Da quelle parti spopola, o meglio si vende benissimo il taglio bordolese…………
      Errare una volta è umano, la seconda sarebbe da bischeri.

      • Caro Andrea, un considerevole numero di quelli che voi toscani chiamate ‘bischeri’ non ha ancora preso atto che il problema dei problemi, oggi, è quello di produrre troppa merce, troppe merci.
        Quelli del vino hanno la fortuna di fare cose meravigliose, desiderabili, consumabili (in dosi ragionevoli). Devono solo farle benissimo e in quantità non ridondanti, in modo che siano, rimangano, sempre di più desiderabili.
        Perché l’abbondanza di una merce ne fa abbassare il prezzo. Monsieur de La Palisse (o Palice) potrebbe sottoscrivere questa ovvietà, ma non qualche solone improvvisatosi markettaro.
        Non è copmlicato, e nemmeno doloroso e neanche triste, ciò che affermo. E’ solo un’impiombata alla speculazione.

  7. …cosa ricomincia ..una seconda corsa all’oro? questa volta è in cina il chianti e brunello? ..mentre qualcuno comincia a svendere anche ”gli attrezzi da scavo”..ri-inizia una nuova e già vissuta era di ”vecchi” pionieri del vino pronti a dare tutto ciò che ”si può fare”..le cattedrali del vino pronte a sfornare milioni di bottiglie per ricchi orientali e pensare che la vecchia fattoria toscana dove tra chioppi e piccole vigne strette e non meccanizzabili producevano quantità giuste ,con fatica,da trasformare con pazienza e seguite con amore .I 500-600 hl erano un traguardo..adesso non si parte con meno di 1000 hl…Sì…facciamo spazio tra i girasoli ed i canneti oramai arsi e ”andiamo avanti ”fino alle ragnaie…

    • Non credo che ricominci una ‘corsa all’oro’, a meno di intendere come oro (oro purissimo!) la terra. E quella è una corsa cominciata da qualche anno. Le grandissime proprietà – siano gruppi multinazionali o altro – hanno incettato la terra nei continenti e tra le popolazioni più vulnerabili (Africa ma anche sud America) e mi aspetto che lo facciano anche nei luoghi che tu citi con poche efficaci parole. Cioè nei luoghi il cui pregio (ancora misconosciuto da molti abitanti) sta nella storia e nei prodotti pregiati.
      Passare da un apprezzamento allo sfruttamento è facile. Perciò c’è di nuovo o ancora (molta) gente che magari pensa di poter moltiplicare aritmeticamente il valore di quello che produce semplicemente aumentandone la quantità. Speriamo che si accorgano che è una politica produttiva e commerciale che ha le gambe corte.

  8. ZILIANI, IL TRAVAGLIO DEL VINO…

    Brunellopoli quattro anni dopo: una disinvolta lettura di Lamberto Frescobaldi

    Pubblicato il 5 marzo 2012 da franco ziliani

    Va bene che, come qualcuno propone, a Montalcino bisogna “finalmente” permettere “alle grandi aziende di contare di più”, e quindi determinati modi di ragionare è naturale che emergano e che magari vengano pienamente legittimati e totalmente sdoganati, ma credo che bisogna fare grande attenzione alla piega strana che a quattro anni circa dal suo scoppio la lettura di quella cosa molto grave e pericolosa che è stata Brunellopoli sta prendendo.
    Volete scommettere che tra poco non solo si arriverà ad affermare, anche se all’epoca ne scrisse la stampa di tutto il mondo, che non ci sia stato nessuno scandalo, e che qualcuno arriverà addirittura ad assolvere e beatificare, perché in fondo non hanno fatto niente, i taroccatori del Brunello?
    Fateci caso, dapprima, come ho scritto qui, c’è stata la lettura del tutto rassicurante, del tutto minimizzante e giustificatoria di Brunellopoli opera di qualche storico amico del potente di turno, che è arrivato a sostenere che lo scandalo del Brunello in fondo fosse solo “una polemica fra chi voleva mantenere l’integrità assoluta del Brunello e chi voleva renderla con qualche piccola correzione idonea al mercato internazionale”.
    E ora, in pieno clima revisionista, che vede Le Grandi Aziende del Vino Italiano essere più proterve e arroganti che mai, siamo ormai alla ricostruzione fantasiosa. Di più, alla auto-assoluzione. Questo perché, magari, “tanto ormai hanno dimenticato o alla gente non frega assolutamente nulla di queste storie”…
    Protagonista di questa ricostruzione del tutto originale (eufemismo) di quanto Brunellopoli è stata è un importante esponente di una delle storiche casate del vino toscano, uno di quei produttori che predicando bene e razzolando un po’ meno bene si dicono sostenitori del rispetto per il territorio e poi piantano e producono Merlot a Montalcino. E in altre zone a denominazione toscane producono vini che degustati alla cieca sarebbe facile scambiare per vini prodotti nel Nuovo Mondo.
    Sto parlando della secolare dinastia dei Marchesi Frescobaldi, e delle dichiarazioni rilasciate da Lamberto Frescobaldi al wine writer e blogger statunitense W. Blake Gray, riportate sul suo blog The Gray Report. Frescobaldi che nell’intervista rilasciata a Blake Gray sceglie il profilo basso, e sostiene che “l’azienda è la cosa più importante. Non siamo possessori di barche, aeroplani o Ferrari, ma possediamo 2500 ettari di vigneti e badiamo soprattutto ad avere un’azienda in salute” – “The company is the most important thing. Be modest. We don’t own boats, airplanes or Ferraris, but we do own 2500 hectares of vineyards. The main focus is to have a healthy company” – ci offre una sua personalissima chiave di lettura di quello che accadde (e che non ci siamo immaginati o inventati) quattro anni orsono.
    Per scrupolo di chiarezza pubblico dapprima, citando ovviamente la fonte, ovvero l’articolo che potete leggere qui, il testo originale della risposta data da Frescobaldi all’intervistatore.
    Domanda: ”WBG: Your winery was accused of selling false Brunello di Montalcino. Tell me the status of that case”.
    Risposta: “Frescobaldi: The judge jumped on people with names who were having high ratings. One of them was us. We were not buying wines from any other place. We were only using our wines from the estate. The judge was saying, you were using some other varieties in your Brunello.
    We explained to him we have no interest in using Merlot in our Brunello because we are selling our Merlot for a much higher price in our IGT Lamaione. Our Brunello is a much lower price.
    The judge thought, that can’t be true, IGTs are much less expensive than DOCG wines. But no, it’s true. In the beginning of 2008, our wine was suspended from the market. After eight months, after a lot of analysis, it came out that everything was fine.
    The wine was given back to us. We could start selling the wine. The judge went to a different city, and then everything was forgotten. By law, if the judge doesn’t close the inspection after a number of years everything finish. We didn’t make any kind of proclamation because this was something that especially here, in Florence, was in the media every day and was then forgotten. We thought we were better off moving on and forgetting this sad story”.
    Provo a tradurre.
    Blake Gray chiede a Frescobaldi di spiegare come siano andate le cose quando vennero accusati di commercializzare falso Brunello di Montalcino. Il produttore risponde: “il giudice si è occupato di aziende che avevano ricevuto alti punteggi. Una di queste era la nostra. Noi non acquistavamo vini all’esterno, ma utilizzavamo esclusivamente vini prodotti nella nostra tenuta.
    Il giudice ci accusava di utilizzare altre varietà nel nostro Brunello. Al che rispondemmo che non avevamo interesse ad utilizzare Merlot nel nostro Brunello, perché vendevamo il nostro Merlot ad un prezzo più alto con il nostro IGT Lamaione. E il Brunello aveva un prezzo più basso.
    Il giudice non era d’accordo sostenendo che gli Igt erano molto meno costosi dei vini Docg. Ma invece era vero. E così nella primavera del 2008 il nostro Brunello venne ritirato dal mercato.
    E dopo nove mesi e un sacco di analisi, emerse che tutto era a posto. Il vino ci venne restituito e potemmo cominciare a venderlo. Il giudice venne trasferito in un’altra città e tutto venne dimenticato.
    Secondo la legge, se il giudice non chiude l’inchiesta entro un certo numero di anni tutto finisce. Non abbiamo fatto alcun proclama, perché si trattava di qualcosa che specialmente qui, a Firenze, era sui giornali tutti i giorni e andava dimenticata. Abbiamo pensato fosse meglio rimuovere tutto e dimenticare questa triste storia”.

    Revisionismo totale!
    Non solo il marchese Frescobaldi mostra di avere una visione totalmente e volgarmente mercantile, nonostante la secolare storia della sua casata e della sua azienda, ed il blasone, del produrre vino, affermando semplicemente che non gli conveniva mettere Merlot nel Brunello, perché il loro Merlot di Montalcino lo vendevano a prezzo più alto del Brunello (non aspettatevi che rispondesse che non metteva Merlot nel Brunello semplicemente perché non era consentito, perché era fuorilegge, perché il disciplinare – oddio sempre questa odiosa parola, polverosa e da dimenticare come tradizioni! – permette esclusivamente l’uso di Sangiovese…).
    Ma poi racconta, ad uso e consumo del wine writer americano, che stranamente non obietta nulla, e dei propri clienti internazionali, una versione totalmente addomesticata e rassicurante che fa a pugni con la realtà dei fatti.
    Brunellopoli non è stata semplicemente, come farebbe comodo far intendere, la bizzarra invenzione di un giudice che ce l’aveva con quelli che prendevano punteggi elevati da Wine Spectator, e che pensava che gli Igt costassero meno del Brunello, o la fantasticheria di qualche giornalista, ma è stata, come potete leggere qui, ben altra e molto più grave cosa.
    Una cosa che ha visto i Frescobaldi rinviati a giudizio, come pure altre note aziende. Una cosa, indegna, che ha creato seri problemi, di credibilità, prima che commerciali, all’intero comparto produttivo ilcinese, che ha visto chiaramente un prima e dopo scandalo, “Brunello” che prima erano concentratissimi, dal colore impenetrabile e dal gusto molto dubbio, ritrovare miracolosamente, ma solo a partire dall’annata 2005, un colore più consono al Sangiovese, profumi e gusto da Sangiovese.
    Poi si può benissimo, come tenta di fare Lamberto Frescobaldi, complice un wine writer molto disponibile ad accogliere questa versione stile “tutto va bene madama la marchesa”, o semplicemente non a conoscenza dei fatti, provare a diffondere racconti molto più edificanti e rassicuranti, stendere il velo dell’oblio, provare a far credere che non sia successo nulla.
    Ma si fa questo per puro interesse commerciale, perché come insegnano gli americani the business is business and must go on, e non certo per amore del vero…
    La verità su Brunellopoli è una sola e non può certo essere modificata ed edulcorata ad uso e consumo dei Frescobaldi..

  9. Il mio commento lo trovi sul blog dello Ziliani, con il mio sconforto per l’indifferenza “per ciò che pensa il mercato” di L. Frescobaldi.
    Il mercato siamo noi e vogliamo esserlo sempre meno, pergiove. Sempre meno vogliamo essere banalmente consumatori e sempre più vorremmo “trattare alla pari” con persone dotate di cospicuo blasone e affascinante passato. Anziché con gente che la propria storia la usa e basta…
    I consumatori long lasting non sono più …consumatori e basta.

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